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29 Settembre 2017 | Epitaph | propagandhi.com |
Negli anni novanta la tribù del Punk non rinunciò alla cresta, anzi, aggiunse le Vans, lo skate/snowboard e i soldi del papi. Alla faccia del no future. Girava SLC Punk (Il film) e tutti conoscevano le battute. La figura di Stevo (il protagonista) rappresentava benissimo lo stato delle cose: in giro a fare i Punk sballoni con in testa la “demolizione” di qualsiasi cosa rappresentasse un ostacolo al divertimento, male che vada possiamo seguire il percorso paterno e andare a fare gli avvocati con il pretesto di distruggere tutto dall’interno. Un gran finale paraculo che però ben sintetizzava il pensiero di una generazione priva di qualsivoglia ideale (non per fare i bacchettoni, che davvero non interessa, ma la toppa con la “A” di anarchia stava proprio ovunque); e non storcete il naso, sapete benissimo anche voi che eravate lì solo per bere, scopare e far passare in cavalleria il periodo più difficile della vita: l’adolescenza. Che se ci pensate non è neanche poco.
Punto di riferimento, la Fat Wreck di quel ciccione drogato di Mike. Gente che ci ha dato grandi consigli nei momenti difficili di questo passaggio, indecisi se saltare le lezioni e andare a fare colazione con le Moretti da 66cl, piuttosto che affrontare, e venire sconfitti, dall’istituzione scolastica: tipo il lucignolo di Collodi, ma con la panza.
Tutto questo fino a “Less Talk More Rock”.
Nel 1996 i Propagandhi escono allo scoperto. E se pensiamo al testo appartenente al brano d’apertura del loro esordio “How To Clean Everything“, tutto comincia ad assumere i connotati di un lento processo d’inserimento contenutistico all’interno di in un contesto fino a quel momento stranamente evasivo nei confronti dell’impegno sociale o politico – “A rebellion cut to fit, I refuse to be the soundtrack to it”. Che poi, un disco con quel titolo ben semplifica il lavoro in atto: mettere in discussione la scena, lo stesso pubblico.
Meno Nofx e più Dead Kennedys (nel messaggio), ed un suono che andava caratterizzandosi lasciando al palo quasi tutti. In copertina di “Less Talk More Rock“, lo slogan “Gay-positive, Pro-femminist” lasciava straniti i fan di cui sopra, quelli da SUV e sfascio nel fine settimana: tanto che giravano voci goliardicamente omofobe sul cosa ci facessero con le bacchette della batteria. Sdegno tutto americano, perché da noi ovviamente nessuno, o quasi, si sognava di capire cosa cazzo stessero cercando di dirci.
I Propagandhi cominciano così a difendere i diritti dei gay, a promulgare il veganesimo, e a campionare stralci di conferenze di Noam Chomsky infilandole nei loro brani: una vera boccata d’ossigeno per l’adolescente medio Fat Wreck addicted.
Detto questo, c’è da aggiungere che la band di Chris Hannah, prima che dal pubblico, era adorata dagli stessi musicisti della scena: esclusi, ovviamente, quei coglioni dei Pennywise. Tanto, che l’approccio dissoluto dei nostri invitò gente come i Green Day o gli stessi Nofx a spingersi un po’ oltre al: “Friday night we’ll be drinkin’ Manashevitz“, cioè a fare nomi e cognomi (George W. Bush), ché basta generalizzare.
Il quartetto torna oggi, a cinque anni da “Failed States“, e lo fa, guarda caso, in pieno periodo Trump. Il loro settimo lavoro “Victory Lap“, che esce sotto Epitaph, é probabilmente il miglior ascolto di genere che possiate fare quest’anno.
Inutile puntare il dito senza fare qualcosa, e allora ecco l’ammissione di colpevolezza di Hannah che riflette sull’uomo bianco (liberale) , alleato per la pace, ma spesso complice cosciente e coinvolto nei processi di prevaricazione in atto, se non di guerra (“Comply / Resist“). Un pezzo splendido fra Hardcore, melodia e riffoni à la Slayer.
Cos’è la lotta di classe nel 2017? Probabilmente la domanda è mal posta. Magari, sarebbe più sensato ragionare su cosa la gente può sentire oggi, e cosa viene automaticamente censurato dall’impellenza dei bisogni primari. Ché se chiedi di “pensare” fai la figura del solito canadese anti governativo. Ecco quindi tramutarsi il tutto in un discorso introspettivo: una serie di pensieri che dialogano con l’ascoltatore ma che fanno sempre riferimento ad un’esperienza vissuta sulla pelle (“Cop Just Out Of Frame“).
Victory Lap rappresenta il culmine di una progressione logica che è maturata nelle opere della band fin dai primi anni ’90. Un percorso unico suddiviso in episodi. Del resto non è più il compito dei Propagandhi quello di rappresentare la coscienza morale della scena punk: per una volta, sono solo parte di essa.