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Che gli anni ’80 siano stati il periodo in assoluto più buio del rock è un fatto asserito. L’esplosione delle tv dedicate e delle pop star da copertina hanno messo in secondo piano la musica vera e propria. L’avvento delle megaproduzioni poi ha dato il definitivo colpo di grazia al già ansimante rock & roll. In quegli anni tristi per noi amanti del rock, dettavano legge le band new romantic come Spandau Ballet o Duran Duran oppure le pop star sex symbol come Madonna. Ma anche in un periodo così decadente c’è stato chi se ne è fregato del music biz e delle copertine e ha suonato rock vero, quello fatto con le chitarre e con il cuore. Per la verità non erano in molti a farlo, e questi pochi non hanno avuto certo un grande successo, ma grazie a questi coraggiosi pionieri nel decennio successivo la “nostra” musica è rinata: Tra queste band che andarono controcorrente una delle più importanti è stata certamente quella dei Georgia Satellites. Nati dalla fusione di due “bar boogie bands” di Atlanta rispettivamente gli Hellbounds (da cui provengono Rick Price,basso, e Rick Richards, chitarra) e i The Woodpeckers (da cui arriva Dab Baird, voce e chitarra), i nostri propongono una sano rock di chiara impronta sudista. La band si forma nei primi anni ottanta quando ai reduci delle due band madri si unisce il batterista Mauro Magellan. Dopo un primo EP di discreto successo, i nostri danno alle stampe il primo loro album dal titolo omonimo. La loro musica è scarna e essenziale: rock ad altra gradazione di ottani, batteria che pesta come si deve, chitarre urlanti e tanta, tanta energia. I modelli a cui si ispirano sono quelli più classici del vero rock vale a dire Stones, Lynyrd Skynyrd, Faces e Replacement. Il singolo apripista è l’opener “Keep Your Hands to Yourself” centrata sulla forza d’urto delle chitarre e della sezione ritmica e sulla grande vocalità di Baird. Assoli taglienti, buona melodia e quella sana voglia di divertirsi sono la miscela di tutte le 10 canzoni contenute in questo album. Particolarmente piacevole risulta essere “Railroad Steel” un sano r&r dai forti richiami southern in cui spicca un torrenziale assolo di Richards. “Battleship Chains” richiama certe cose dei Motley Crue, batteria in grande evidenza, grande melodia e cori, una manna per gli amanti di queste sonorità. La successiva “Red Light” è decisamente più hard, prendete i migliori Def Leppard e spruzzateli di sano whisky sudista e avrete questa canzone. Il richiamo ai Lynyrd è forte nella successiva “The Myth of Love”mentre “Can’t Stand the Pain” è un sano e super adrenalinico hard rock melodico di quelli da sparare a tutto volume. “Golden Light” è una bella ballad dotata di grande melodia e in ritornello tutto da cantae. “Over and Over” invece sprizza southern rock da tutti i pori con riff taglienti come rasoi, grandi cori e un tiro pazzesco: un di quelle bar songs tutte adrenalina tipiche del Sud degli USA. “Nights of Mystery” col suo inizio di chitarra acustica mette in mostra le forti radici blues della band mentre la conclusiva “Every Picture Tells a Story” è una cover di Rod Steward che i nostri imbottistiscono di esplosivo sudista.
Georgia Stellites è un disco di sano e fresco Rock & roll, uno di quegli album che si ascoltano sempre con piacere perché ha il raro dono di resistere all’usura del tempo. Rock senza fronzoli e senza troppe pretese, mettete il volume a palla, stappate una birra fresca e godetevi questo bel disco.