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Mi accosto con molto scetticismo a questo nuovo album dei Modena City Ramblers; i loro ultimi due lavori “Radio Rebelde “ e “Terra e Libertà” non mi erano piaciuti affatto. La svolta verso sonorità latine e testi sempre più impegnati non mi avevano convinto. Ascoltando questi due album rimpiangevo gli MCR degli esordi, sentivo forte la mancanza di quella sana voglia di divertirsi che mi avevano spinto a definirli i Pogues italiani. Per carità non ho nulla contro la musica impegnata, anzi ritengo che sia tra i doveri di un musicista dare anche dei messaggi, se è questo quello che sente dentro di se. Purtroppo a mio avviso nei suddetti due album gli MCR avevano iniziato a prendersi troppo sul serio perdendendo quelal forte carica di ironia che li aveva contraddistinti nel passato; la svolta, dal punto di vista strettamente musicale ,aveva tolto brillantezza al sound rendendo entrambi i lavori abbastanza stucchevoli. Mi si opporrà che è un processo di normale crescita artistica, che non si può passare tutta la vita a cantare “Contessa”. Sarà anche vero ( ma ne dubito, basta guardare Elio tanto per fare un esempio) ma questo non deve andare a discapito della freschezza del suono, l’impegno sociale non deve prendere il posto della parte artistica altrimenti si diventa dei politici che recitano slogan musicali. Questo è il mio personalissimo, e per cui opinabilissimo, punto di vista. Bene, con tutte queste idee in testa mi accingo ad ascoltare la nuova fatica in studio dei nostri. I disco è stato inciso dopo che Cisco e soci avevano intrapreso un lungo viaggio sulle orme del Comandante Marcos, leader storico degli zapatisti del Chapas. Onestamente non la trovavo una buona premessa temendo la sindrome di Manu Chau. Per fortuna i miei dubbi vengono in parte dissolti dopo l’ascolto del disco. Non siamo ai livelli di “Riportando Tutto a Casa” e “ La Grande Famiglia” ma la strada mi sembra quella giusta. I MCR sembrano aver fatto marcia indietro andando a recuperare , in parte , le sonorità irish degli esordi miscelandole con sapienza al nuovo amore per i suoni latini. Già la title track fa capire che i nostri possono suonare musica dalle forti inflessioni messicane e farlo finalmente con grinta e maturità. Sull’onda del celebre slogan dei rivoluzionari zapatisti gli MCR tirano fuori un brano pieno di vita e dal grande tiro. Bella la scelta dell’usare le trombe assieme alla percussioni e di basare su di esse la costruzione musicale del pezzo; la melodia che ne scaturisce è di grande presa e il testo è davvero suggestivo. Le note positive proseguono con la successiva “Il Presidente”: in sottofondo si odono proclami in spagnolo ma il riferimento è decisamente alla politica nostrana. Secondo voi chi è ” il presidente operaio, insegnate, allenatore, cantante, soldato, pacifista, filo americano” a cui “non si fanno conti in tasca” e i cui “interessi di lobby sono una invenzione dei giornalisti e dell’opposizione”? Forse la parte strumentale tutta incentrata sul violino di stampo gitano suona un po’ gia sentita ma la song è divertente e si candida ad essere la nuova “Contessa”. Tutto bene allora? Non proprio: tra le 12 canzoni ci sono anche alcuni passi falsi. “I Cento Passi” è certamente nobile nel suo intento ma è davvero troppo uguale a “La Banda del Sogno Interrotto” l’innesto di dialoghi tratti dall’omonimo film è efficace ma manca la fantasia. Abbastanza debole anche “Ramblers Blues” una ballata tutto sommato banale che ricorda cose degli ultimi Nomadi. Stesso discorso anche per “Ebano”, a me sembra la versione 2004 di “L’unica Superstite”: Certo li si parlava di una donna scampata alla furia dei nazi fascisti e qui di una prostituta immigrata ma la melodia, il modo di comporre il testo e di dire le cose è lo stesso. Poca roba anche “Altri Mondi”, i dialoghi in spagnolo sono abusati un po’ in tutto il disco, se la canzone funziona allora risultano piacevoli se invece sono inseriti in un dub folk abbastanza scontato come questo risultano noiosi riproponendo i difetti degli ultimi tempi.Tra le cose positive invece c’è il ritorno a canzoni cantate in dialetto che risultano tra le cose migliori del disco: “Stella Del Mare”, “Al Fiòmm”, “La Fòla ed La Sira” sono 3 signore canzoni come gli MCR non componevano da tempo. In particolar modo la seconda delle tre mi ha particolarmente impressionato per il saggio uso fatto della fisarmonica e dei cori. Come da tradizione non manca una cover di lusso. La scelta cade su “Il Testamento di Tito” una delle canzoni più belle dell’immenso Faber. I Modena la interpretano davvero bene, trovano il giusto equilibrio tra una versione personale e l’omaggio all’originale. Non è affatto facile misurarsi con De Andrè ed uscirne bene.
In sostanza possiamo dire che i Modena City Ramblers stanno crescendo, è un percorso , questo, pieno di insidie se affrontato con serietà come fanno loro. La mia impressione è che la band emiliana stia cercando il proprio equilibrio tra la forza del passato e la nuova voglia di riflettere. Si stanno guardando alle spalle cercando di prendere le cose migliori dei passati lavori per unirle con le attuali sonorità più mature per creare un sound nuovo. Non è semplice ma la strada mi sembra quella giusta: personalmente faccio il tifo per loro, abbiamo bisogno di band coraggiose come gli MCR e poi quando azzeccano al canzone sanno davvero essere irresistibili come pochi. Alla fine di tutto mi direte ma “Viva La Vida Muera La Muerte” merita di essere acquistato? Si per me merita perché nonostante i punti deboli che ho segnalato il disco è piacevole, anche le canzoni che risultano meno convincenti sono tutt’altro che brutte, hanno solo il difetto di suonare gia sentite, e alla fine sono più i lati positivi di quelli negativi perché, pur con i loro limiti, i Modena City Ramblers sono una band vera ed onesta, cosa rara nel mondo, deprimente, della musica italiana.