Buchanan, Roy – Hot Wires

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“Il miglior chitarrista sconosciuto del mondo” così si intitolava una trasmissione televisiva andata in onda nel 1971 su una emittente nazionale americana basata su un articolo apparso su Rolling Stones. Lo special di oltre 1 ora narrava la vita e l’opera di Roy Buchanan, uno di quei musicisti magari sconosciuti al grande pubblico ma considerati dei guru dagli addetti ai lavori. Da Robbie Robertson (The Band) a Eric Clapton, da John Mayall a Jeff Beck, da Billy Gibbons (ZZ Top) a John Lennon tutti hanno definito Roy come uno dei chitarristi più influenti e geniali del secolo scorso. Figlio di un pastore pentecostale, il giovane Buchanan cresce ascoltando il gospel e il country, i generi che vanno per la maggiore tra la comunità bianca di Pixley in California.Nei primissimi anni cinquanta, appena tredicenne, prende lezioni di steel guitar e dopo poche settimane dimostra già un talento innato e una grandissima padronanza dello strumento. La svolta avviene quando ascolta alla radio i primi successi di blues. La musica del diavolo lo colpisce a tal punto che con i soldi risparmiati si compra la sua prima chitarra elettrica, una Fender Telecaster che userà per tutta la carriera, e decide di intraprendere la dura strada del musicista professionista. Si fa le ossa suonando un po’ ovunque e con chiunque creandosi così una buona fama di ottimo session man; tra i musicisti che accompagna c’è tra gli altri Dale Hawkins, che lo inserisce nel giro della Chess di Chicago. Per Buchanan è la svolta, le grosse case discografiche iniziano a interessarsi a lui e dopo il documentario televisivo di cui parlavamo all’inizio il nostro diventa una sorta di star tanto che i Rolling Stones pensano a lui per sostituire lo scomparso Brian Jones. Ma Roy era un tipo che non amava scendere a compromessi, dopo pochi album registrati per la Atlantic si dichiara disgustato dal mondo del music businnes e si ritira promettendo che non avrebbe più inciso fino a quando non sarebbe stato libero di fare i dischi che voleva e come li voleva. L’occasione gli arriva nel 1985 quando la Alligator si interessa a lui e gli fa incidere “When a Guitar Plays the Blues”. In questo album tutta la genialità di Roy può finalmente uscire allo scoperto. Il suo stile particolare fondato su una tecnica sopraffina influenzata dalle improvvisazioni jazzistiche , il grande uso degli armonici con morbidi fraseggi e improvvise accelerazioni condite da un ampio uso di effetti, entusiasma pubblico e critica e viene preso ad esempio da moltissimi chitarristi (tutti quelli detti sopra più moltissimi altri anche giovani) che ancora oggi riconoscono in lui un vero e proprio maestro e ispiratore. Segue un secondo ottimo lavoro , sempre su Alligator , intitolato “Dancing on the Edge” e poi questo “Hot Wires” che rimane a detta di chi scrive il suo miglior disco in studio. Supportato da una band di prim’ordine formata da Larry Exum al basso, Morris Jennings, già con Howlin Wolf, alla batteria, Donald Kinsey (chitarrista dei Kinsey Report e session man per Albert King e Bob Marley) alla ritmica e un paio di vocalist di grande livello come Johnny Sayles e la semi sconosciuta ma incredibilmente talentuosa Kanika Kress.
Il disco si apre con lo strumentale “High Wire” brano dalle forti influenza psichedeliche della baia che richiama i temi della surf music, subito possiamo apprezzare tutta la maestria di Buchanan che si esalta nei in un vortice di suoni ed effetti. “Rhat Did It”è uno slow blues a dir poco sensazionale: alla strepitosa prova canora di Johnny Sayles si contrappongono i funambolici e geniali assoli di Roy che nel finale della canzone raggiunge livelli impensabili per creatività e dinamismo. In “Goose Grease” è lo stesso Roy a interpretare le parti vocali. Come cantante il nostro era abba