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Ho sempre pensato che una band che all’esordio fa un bel disco sia un’ottima cosa, ma da prendere con le molle. Troppo spesso abbiamo visto giovani gruppi esordire alla grande per poi perdersi in un bicchiere d’acqua. Per questo motivo mi esalto di più quando noto un gruppo che fa un gran secondo- terzo album. Un bel disco capita a molti di farlo, 2 è già più difficile. I Tarbox Ramblers hanno esordito discograficamente nel 2000 con il disco intitolato semplicemente Tarbox Ramblers. Un lavoro molto bello ma con il difetto di contenere un po’ troppo cover. Queste erano comunque interpretate in modo molto personale e convincente, cosa che aveva fatto notare ai più attenti un indiscutibile personalità del gruppo di Boston. Quel disco aveva raccolto grandi consensi da parte della critica, e lo aveva fatto in tempi non sospetti, cioè prima che scoppiasse la moda del vintage a tutti i costi. I nostri comunque non si sono lasciati prendere troppo dall’entusiasmo, hanno continuato a lavorare duro e solo dopo 4 anni hanno deciso di pubblicare il loro secondo album. Questa è stata senza dubbio una scelta coraggiosa ma che alla luce dei fatti premia Tarbox e i suoi compari. A Fix Back East è in fatti un grande disco. Per chi non li avesse mai ascoltati posso dire che il trio bostoniano (il batterista a quanto riporta il booklet è variabile infatti ce ne sono in alternanza ben tre in questo album) offre un rock fortemente debitore verso il blues e la psichedelia, ma anche molto ispirato da gente come i Doors e Captain Beefheart. Un musica sporca e polverosa, nella quella si sentono echi di folk e country. Una ricetta del tutto originale che mette i nostri in quella ristretta cerchia di band che non usano il passato come mera carta carbone ma che da esso traggono ispirazione per far sgorgare la loro passione e originalità. Michael Tarbox (voce e chitarra), Johnny Sciascia (basso e percussioni), Daniel Kellar (violino) sono una band vera che se continua di questo passo ha un futuro luminoso davanti a se. Ma vediamo ora di conoscere un pochino meglio questo loro nuovo bellissimo album. “Already Gone” apre le danze; prendete i Doors più bluesati, toglietegli l’organo hammond e metteteci una spruzzata di R.L Burnside alla chitarra, miscelate con cura e otterrete questa prima grande canzone. “Were You There?” inizia col violino, una melodia lenta e psichedelica. Jim Morrison è sempre presente nella voce e nel modo steso di cantare di Tarbox che sfodera una nenia lisergica a metà tra “The End” e un blues di John Lee Hooker. Ottima davvero. “Country Blues” invece pesta decisamente il piede sull’acceleratore, la slide taglia l’aria e la sezione ritmica pesta a dovere per una melodia altamente ipnotica. Mi sembra di ascoltare Burnside in versione rock psichedelico. Irresistibile! La successiva title track riprende il discorso di due canzoni prima: la sezione ritmica va al rallenty mentre il violino disegna una melodia sempre più cupa e ipnotica. La voce di Tarbox, sempre più roca e graffiante, sembra sospesa nell’aria in un viaggio lisergico tra le paludi del Mississippi. Non sono in molti oggi a proporre una cosa simile, bravi davvero. “No Night There” è un traditional che i nostri rileggono in maniera decisamente allegra ma sempre con quella malinconia di fondo che li caratterizza, è ancora il violino a giocare il ruolo del leone assieme alla splendida voce del leader. “Honey Babe” è invece un blues rock tagliente come un rasoio mentre “Cloth of Gold” si sposta su coordinate più folk ma mantiene intatta la sua carica ipnotica. “The Shining Sun” ritorna in territori decisamente più deltaici con la batteria in levare e la slide sempre più affilata che spara improvvisi e lancinanti assoli. Si prosegue con “From the Algiers Station”,la chitarra suona sempre più low e la voce di Tarbox snocciola un’altra grande nenia blues psichedelica sempre sorretta alla grande dal violino e dalla sezione ritmica che non perde un colpo. Grande chiusura del disco con l’incredibile gospel di “Last Month of the Year”, cori e percussioni voodoo per un piccolo gioiello tutto da ascoltare. Strepitoso ancora una volta Michael Tarbox! “Ashes to Ashes” (i credits la danno a firma Tarbox ma a me sembra quella di Bowie) che riprende il solito andamento ipnotico e lisergico, un volo radente tra la musica tradizionale americana ,il sound dei Tarbox ha un qualcosa di tutto ma non risulta collocabile in nessun genere ed è questo uno dei suoi grandi punti di forza.
A Fix Back East è un disco sorprendente, originale, coraggioso e dannatamente bello. Adatto ad ogni tipo di palato musicale; piacerà agli amanti dei suoni psichedelici, a quelli del blues o a coloro i quali adorano i geni impazziti alla Captain Beefheart. Non fatevelo scappare perché i Tarbox Ramblers sono davvero una grandissima band.