Tom Petty & the Heartbreakers – Damn the Torpedoes

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Scrivere di rock & roll nel 2004 può sembrare sia scontato che assurdo, dipende dai punti di vista. C’è chi da anni dichiara la morte del più celebre dei generi musicali e chi invece sostiene che esso è vivo e vegeto e più attivo che mai. Personalmente mi schiero in mezzo ai due schieramenti tendendo a spostarmi sempre di più dalla parte di coloro i quali sostengono la prima ipotesi. Poi però mi capita rovistando tra i miei di cd di imbattermi in qualche album di Tom Petty & The Heartbreakers e allora dico “no, fin quando ci sono in giro personaggi come lui il rock non morirà”. Purtroppo di questa pasta cene sono sempre di meno ma questo è un altro discorso. Fin dal suo esordio datato 1976 Tom ha mostrato di possedere una incredibile vena rock, di avere dentro di sé il sacro fuoco che alimenta i veri rocker. In oltre 25 anni di carriera Petty e la sua band- famiglia (un po’ come la E-Street Band per intenderci) formata da Mike Campbell (chitarra), Benmont Tench (tastiere), Stan Lynch (batteria) e Ron Blair (basso), hanno calcato i palchi di tutto il mondo suonando forse più di chiunque altro e sempre su livelli elevatissimi. Se in studio il biondo musicista della Florida ha commesso qualche passo falso dal vivo questo non è mai successo. Ricordiamo i tour mitici con Dylan, le collaborazioni con Warren Zevon, U2 e Johnny Cash. Negli USA tutti gli artisti che attraversavano una crisi di identità si rivolgevano a loro per recuperare la voglia di rock e i nostri non hanno mai sbagliato un colpo. Se non conoscete la musica di Tom Petty & The Heartbreakers il mio consiglio è quello di iniziare da questo disco “Damn the Torpedoes” del 1979, il terzo studio album dei nostri. Le 9 canzoni che formano questo piccolo grande gioiellino rock sono una vera boccata d’aria fresca per chi crede che ormai certa musica la suonino solo gli Stones e il Boss. Tom Petty è cresciuto ascoltando Dylan, i Byrds, The Band, Creedence, Beach Boys e il southern rock, e in questo album riesce a sintetizzare alla perfezione tutte queste sue influenze musicali. Già dall’iniziale “Refugee” si capisce che questo non è un disco come tanti. I toni epici e potenti di questa incredibile rock song ballad mettono subito le cose in chiaro. Tom canta come se avesse il fuoco dentro di se e gli Heartbreakers macinano rock come un rullo compressore tra i lancinanti asosli di Campebell e la potenza della sezione ritmica che va liscia e potente sopra al tappeto sonoro costruito dalle tastiere di Tench. Meglio di così si non può certo cominciare. La successiva “Here Comes My Girl” ha in sé i cromosomici del rock anni 60, si snocciola secca e tirata con il talking di Tom che diventata via via un grido di rabbia che trova poi pace nel ritornello dai toni solari. “Even the Losers” è melodica con il sud nel DNA, grande ritornello per una song destinata ad essere uno degli inni live dei nostri. “Shadow of a Doubt (A Complex Kid)” è invece pregna del bayou dei Creedence ma decisamente più roccata, come se Fogerty e i suoi avessero prima fatto un bagno nel whiskey dei Lynyrd Skynyrd. “Century City” è segnata dalla slide graffiante e dai toni decisamente hard-sudisti. Una vera fucilata che spacca l’asfalto incandescente di una polverosa strada del sud. Una bomba rock dalla devastante potenza con un ritornello tutto da cantare a squarciagola. “Don’t Do Me Like That” è uno dei grandi hit dei nostri: melodia e ritornello irresistibili con l’organo hammond sugli scudi, un vero inno. “You Tell Me” è una rock song crepuscolare, una ballata che si snocciola al tramonto tra cori e sferragliate rock. “What Are You Doin’ in My Life?” è puro rock americano al 100% con il piano honky tonk, la slide che taglia l’aria e un coro epico ed irresistibile con un tiro pazzesco. Si chiude con “Louisiana Rain”un vero inno sudista, una road country ballad di incredibile bellezza: grandissima melodia leggermente malinconica, una di quelle canzoni che solo i Creedence erano in grado di fare segnata dal solito strepitoso ritornello.
“Damn the Torpedoes” è uno dei più grandi dischi di rock americano degli ultimi 30 anni, uno di quei rari lavori che hanno il dono dell’immortalità. Album impedibile per tutti i veri cuori rock, una perla che farà la gioia di tutti coloro i quali hanno la polvere, il whiskey e l’acciaio cromato nelle vene.