Springsteen, Bruce – Darkness on the Edge of Town

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Il miracolo era già avvenuto 3 prima, quando nel 1975 Bruce Springsteen dava alle stampe Born To Run il disco che gli fece fare il salto da semplice promessa a nuova stella di prima grandezza del rock americano. Born To Run era il disco perfetto, difficilissimo se non impossibile fare di meglio. Dopo il clamoroso successo Bruce decide di non cavalcare l’onda ma di fermarsi. Suona tantissimo dal vivo e riflette. Dopo 3 anni finalmente esce Darkness On The Edge Of Town. Come sempre il lavoro successivo ad un capolavoro è atteso da tutti , critica e pubblico, con i fucili spianati. Tutti erano pronti a stroncare questo nuovo album anche perché Bruce era si amatissimo dal pubblico ma molto meno dal potere. Molte volte in passato è successo che dischi usciti sul mercato in queste condizioni siano stati snobbati nonostante il loro valore per venire poi rivalutati dopo molti anni. Con Darkness questo non succede: lo spessore dell’album è troppo elevato per poter dare spazio a qualsiasi critica. Forse non raggiunge i livelli di Born To Run ma ci va davvero molto vicino; è ancora un capolavoro. Rispetto al lavoro precedente il Boss cambia un po’ strada, le dieci canzoni che compongono questo album sono forse meno epiche di quelle di Born To Run, sono anche meno ricche di sogni e illusioni. Rappresentano l’America vista con gli occhi dell’uomo comune dando una spaccato poetico ma allo stesso tempo realistico degli USA di fine anni ’70. Se 3 anni prima il nostro aveva messo a nudo il sogno americano cantando la voglia di libertà di una generazione che si sentiva oppressa, con questo album Bruce si spinge oltre. Se vogliamo Darkness può essere visto come la continuazione di Born To Run, un secondo episodio girato da un uomo più maturo e per questo meno sognante e molto più crudo. Là il sogno americano era possibile,c’era la voglia di evadere, il disagio era il motore che spingeva ad andare oltre cercando una via di fuga, qui invece Springsteen sembra essere più realista, questo disco è forse il risveglio dopo il sogno. I protagonisti dei brani di Born To Run erano dei giovani che guardavano il mondo coi loro occhi, in Darkness la soggettiva si sposta verso persone più mature, uomini e donne che hanno smesso di sognare perché la vita glielo impedisce. In queste canzoni si parla della fatica di tirare la fine del mese, del lavoro, dei problemi quotidiani con cui tutti gli uomini comuni devono confrontarsi. L’ottimismo lascia spazio al realismo con tutto quello che questo comporta. L’unica similitudine con il lavoro precedente rimane la consapevolezza che un uomo deve avere degli ideali e ad essi non può rinunciare perché solo attraverso essi si può sopravvivere in questo mondo di ingiustizie. Dal punto di vista musicale il disco era certamente più scarno, gli arrangiamenti ridotti quasi all’osso e le canzoni cosparse di una nota di amarezza e malinconia. Quello di Darkness è un rock duro, crudo e diretto, privo dei toni epici del passato. Come da sua abitudine Springsteen non volle alcuna campagna promozionale per il suo lavoro, scegliendo di far conoscere la sua musica alla gente solo attraverso i concerti. Una scelta questa che si è rivelata vincente e che ha contribuito non poco a far nascere quel rapporto unico che lega il Boss al suo pubblico. Veniamo ora alle canzoni: si parte con “Badlands” e subito si notano tutte le caratteristiche descritte in precedenza. Bruce ci presenta una visione dei “bassifondi” quantomai realistica. Ad abitarli sono persone che lavorano duramente tutto il giorno, che fanno mestieri umili e faticosi e che sono ormai forse troppo stanche per sognare qualcosa di meglio. La storia è raccontata attraverso il solito infuocato rock & roll con E Street Band che gira in maniera perfetta soprattutto nella parte ritmica con Max Weinberg e Garry Tallent che non mollano un secondo la presa e il piano di Roy Bittan che stende bene il suo tappeto sonoro. Bruce dal canto suo canta come solo lui sa fare. Come sempre nella parte centrale del brano è riservato un posto d’onore al sax di Big Man che tira fuori uno dei suoi irresistibili assolo. Si prosegue con “Adam Raised a Cain” brano dove le chitarre tornano protagoniste. Bruce urla letteralmente il suo disagio sopra a suoni sporchi e taglienti. “Something in the Night” è una ballata lenta e notturna, la riflessione di un uomo stanco e depresso, una persona a cui la vita ha riservato solo ingiustizie e delusioni e la musica accompagna in modo perfetto questo toccante viaggio notturno. “Candy’s Room” è invece uno di quei rock in mid tempo tipici del Boss. Inizia come se fosse un talking poi entra il piano la melodia si fa strada lentamente e poi la song esplode in tutta la sua devastante potenza, una grandissima canzone , un rock viscerale ed irresistibile fatto apposto per essere suonato dal vivo con il suono fenomenale assolo di chitarra nella parte centrale e Max che pesta come un ossesso . Strepitosa. “Racing in the Streets” è uno dei classici di Springsteen. Bruce canta e si accompagna al piano dando vita ad una ballata di una bellezza indescrivibile tutta incentrata su una grandiosa melodia e sulla magia della sua voce. Poi lentamente entrano la batteria e l’organo e la canzone sale di tono giungendo al ritornello per poi rientrare sul tema iniziale Tra le tante splendide canzoni composte da Bruce questa è senza dubbio una delle più toccanti.. Da un classico all’altro è ora il turno di “The Promised Land”. L ‘armonica fa la sua comparsa per la prima volta nel disco segnando il tempo di uno dei brani Springsteeniani più coinvolgenti in assoluto, un rock a tempo di R&B con un ritornello killer e una potenza emotiva e sonora davvero uniche, una canzone che ti entra letteralmente dentro con magnifici assolo di sax e chitarra che le fanno guadagnare un posto d’onore tra i brani immortali del cocker del New Jersey. Con la successiva “Factory” il ritmo si abbassa di nuovo, una melodia dai tratti quasi gospel accompagna la storia qualunque di un uomo qualunque che nella fabbrica passa una intera vita, organo e tastiere conducono la canzone creando un magnifico e seducente tappeto sonoro. Il grande uso del G3 è uno dei temi,musicali,portanti di questo album e anche “Streets of Fire” si apre con l’organo in sottofondo ad accompagnare la voce poi entra tutta la band e la voce di Bruce raggiunge vette altissime. “Prove It All Night” mantiene alto il ritmo con una melodia di grande presa e un ritmo travolgente, altra grande song tutta da ballare, altro grande brano da concerto. Si chiude con la title track: ennesima grande ballata impostata sui cambi di tempo, sulle ripartenze repentine e devastanti. La voglia di riscatto di una persona che ha perso tutto ma che è cosciente che non può sfuggire al sua destino alla sua natura. C’è tutto Springsteen in questa splendida canzone, suona a e cantata in maniera perfetta, tutta la sua forza, la sua rabbia la sua malinconia. “Darkness On The Edge Of Town” è tutt’ora uno dei dischi più amati di Bruce Springsteen, ,dieci canzoni splendide con almeno 5 grandi classici che ancora oggi infiammano il pubblico a ai suoi concerti. Questo è forse l’album della maturità per il Boss che con esso si conferma come punto di riferimento per la gente comune che nelle sue canzoni rivedono la loro vita. Bruce è il portavoce dell’America dei bassifondi, della gente umile, dei lavoratori : Holliwood mostra gli USA come la terra promessa Bruce ne canta la vita vera per la strada.