Paolo Benvegnù: Sangue che grandina gioia

La bellezza è una delle cose che mi commuovono di più, a volte mi ritrovo in lacrime davanti a qualcosa che mi lascia senza parole per il suo splendore, per la sua evanescenza. Benvegnù canta davanti a me e io con gli occhi umidi lo fisso rapita dai suoi gesti, dalle sue parole, dalle sue note. Ma andiamo per ordine: ad aprire la serata dello Spazio 211, oggi, ci sono i Virginiana Miller, che riescono a portare abilmente sul palco il loro fare teatrale e a volte un pò distaccato. Canzoni come “Malvivente” e “Gelaterie sconsacrate” si fanno più spigolose, le code strumentali si abbandonano a lievi richiami psichedelici, “Merenderi” e “La vita inutile” affascinano e quasi ricordano i Valentina Dorme di “Nuotare a delfino” mentre il finale con “sapore di sale” alla lunga annoia e si disperde in una piccola vena di indifferenza. Un set caratterizzato da oscillanti alti e bassi per una band che probabilmente trova la sua dimensione ideale più in studio che sul palco. Pochi minuti soltanto e appare Paolo, immerso tra un sottile strato di polvere e una spora quasi psichedelica dalla quale nasce una “Brucio” dura e terribilmente sincera, “Il mare verticale” è semplicemente splendida nel suo crescere di suoni ed emozioni. Lui si arrende alla forza delle sue note, a volte si lascia cullare dolcemente, altre si fa trasportare in gesti isterici e meccanici come in “Suggestionabili” che non poteva essere più bella di così, forte e dura come le verità che porta con sè. E poi, per non dimenticare, parte “E' stupido” e son subito ricordi, sulla sua camicia campeggia dalla parte del cuore la scritta “Scisma”, come se fossero ancora qui, come se non dovessero scomparire mai più, subito dopo “In dissolvenza”, brano con cui si chiuse quell'avventura all'auditorium Flog di Firenze qualche anno fa, una lacrima non può non scendere e riportare alla mente tutto ciò che erano e che avevano significato. Una sconvolgente “Catherine” cerca di chiudere questo spirale di emozioni forti facendo tremare fino in fondo al cuore chi la sta ascoltando nella sua dirompente disperazione, un solo bis cerca di riportare un pò di speranza con “E' solo un sogno” mentre le note svaniscono, anche loro in dissolvenza.. Paolo si muove con disinvoltura, si china verso gli amplificatori, distorce i suoni, canta sdraiato sul palco, urla e si sfoga, e all'improvviso imbraccia la chitarra come fosse l'arma più distruttiva che possiede e spara verso il pubblico tutta la realtà che conosce lasciandoci inermi, senza difese, come se spogliati di ogni maschera, avesse messo a nudo le nostre emozioni. Io lo fisso e piango perchè ne ho voglia, perchè è indispensabile, mi lascio colpire nel profondo con occhi spalancati e increduli per la bellezza eterea e sfuggente di tutto questo. E in fondo è solamente “sangue che grandina gioia” e io sono solamente suggestionabile, ma credo anche che per canzoni così sia davvero bello esternare le proprie emozioni, lasciarsi coinvolgere al punto di sentirsi vulnerabili e un pò fragili, perchè poi commuoversi al giorno d'oggi non è poi così facile.