Acquista: | Data di Uscita: | Etichetta: | Sito: | Voto: |
Quando si parla del rapporto tra il rock, o la musica in generale, e la politica, spesso si scontrano due correnti di pensiero: c’è chi sostiene che l’arte non dovrebbe mischiarsi con le cose della politica e chi invece ritiene doveroso che un artista usi la sua opera per dire quello che la maggior parte della persone non possono dire al mondo. Con tutto il rispetto per le altrui opinioni, vorrei ricordare a chi si riconosce nella prima categoria che da sempre la musica è parte attiva della vita politica: pensiamo solo alla coppia Bob Dylan – Joan Baez impegnata per la pace e contro l’intolleranza razziale al pari di Patty Smith e Jimi Hendrix. Pensiamo a Johnny Cash e alle sua canzoni contro la pena di morte e l’emarginazione delle minoranze, allo Springsteen di Born To Run, a tutto il blues preguerra, alle band psichedeliche con la loro idea utopistica ma molto influente di un mondo basato sul “peace & love”, al rap, al reggae di Bob Marley, il punk, e poi guardando in casa nostra ad artisti come Guccini, De Andrè, gli Area…insomma gli esempi sono centinaia. Che piaccia o meno, tutti i grandi interpreti della musica si sono sempre impegnati anche con la politica. Fra di loro un posto d’onore spetta certamente a Steve Earle, da sempre attivo contro la pena di morte e “incazzato” con il governo americano. Steve è un personaggio che nella sua vita ne ha viste davvero di tutti i colori dalla dipendenza alle droghe fino al carcere. Queste sono esperienze che segnano profondamente una persona e uno come lui, dopo essersi finalmente ripulito, ne ha fatto tesoro. Il suo ultimo album “Jerusalem” negli USA fu vittima di una vigliacca forma di censura a causa della ormai celeberrima “John Walker Blues”, canzone che guardava il mondo dal punto di vista dei talebani e sferrava un duro attacco contro il sistema politico statunitense. A causa di questa song il nostro ne ha passate di tutti i colori, ma per piegare un personaggio come Steve Earle ci vogliono ben altro che le minacce e i boicottaggi degli omuncoli che governano il music biz, e questo “Revolution Start Now” ne è l’ennesima riprova. Si tratta, come avrete capito, di un album dal forte contenuto politico, un vero e proprio attacco frontale nei confronti del governo Bush e della sua politica, soprattutto quella internazionale. Per fare questo Steve si affida ad un rock duro molto simile a quello di album come “Copperhead Road”, anche se ora ha abbandonato il look da motociclista e si presenta a noi con gli occhiali e abiti casual. Non mancano certo le ballate, ma il cuore del disco è un rock duro e incazzato, a tratti vicino al punk, che non disdegna però influenze folk e country. Ad accompagnarlo in questa ennesima avventura ci sono come sempre i suoi fidi Dukes (Kelely Looney, Patrick Earle, Eric Roscoe, Will Rigby). Il disco si apre con “The Revolution Starts…” ed è una vera e propria dichiarazione di guerra nei confronti Gorge W e dei suoi. Un rock elettrico e potente con le chitarre che graffiano e la sezione ritmica che martella ossessiva dietro a Steve che alterna una sorta di spoken filtrato ad un cantato più normale. “Home To Houston” e un folk rock di quelli che ti prendono fin dal primo ascolto, grande melodia ritornello killer e tanto, tanto ritmo. Earle è maestro in questo genere di canzoni e noi non ne abbiamo mai abbastanza. Grande brano. “Rich Man’s War” è splendida ballata dolce e struggente con un testo tutto da ascoltare. Parla di un ragazzo che per sopravvivere va a fare il soldato e viene inviato in Irak a combattere appunto la “ guerra dell’uomo ricco”. Canzone favolosa, cantata con una voce roca e dolce e con un accompagnamento strumentale grandioso basato su un efficacissimo tappeto sonoro teso dall’ organo e da brevi ed efficaci interventi di chitarra. A tratti sembra di ascoltare Springsteen nel modo di scandire le strofe. “Warrior” è una sorta di spoken song, Earle più che cantare parla e usa parole feroci contro la guerra. Dietro di lui si erge un muro elettrico di rara potenza a sottolineare i passaggi più duri di un brano cupo e duro. Si prosegue con “The Gringo’s Tale” che dal punto di vista musicale è certamente più sobria con gli archi che ne sottolineano il lato folk. Le parole sono però ancora pungenti. Questa è forse la prima volta in cui il nostro fa un album i cui brani siano tutti delle dure invettive, di solito alternava canzoni molto politicizzate ad altre meno impegnate. Si vede che anche lui, come tutti noi del resto, è davvero preoccupato per la situazione mondiale e non vuol lasciare nulla di intentato. “Condi Condi” è un brano atipico anche per un musicista camaleontico come Earle: si attesta infatti su coordinate vicine al mambo e alla musica sudamericana. Molto gradevole e divertente, un’allegria che stride con il testo sempre più duro. Condi, forse lo avrete già capito, è nientemeno che Condaleeza Rice e il resto ve lo lascio immaginare…”F the CC” (dove F sta per fuck) invece è il brano più duro del disco con un rock furente, quasi vicino al punk, il ritornello è tutto un programma: “Fuck the CC, Fuck the FBI, Fuck the CIA”. La successiva “Comin’ Around” è un po’ la quiete dopo la tempesta: si tratta di una sensazionale country ballad con mandolino e armonica e la partecipazione della splendida voce di Hammilou Harris. Senza dubbio una delle song più belle del disco. Si va avanti con un’altra ballata: “I Thought You Should Know” è una rock song lenta, molto gradevole ma forse un pochino scontata. Forse l’unico mezzo passo falso dell’album. Le cose migliorano decisamente con “The Seeker”. Country –folk-rock alla Steve Earle, grandissima melodia e splendide aperture “countryeginati” per una canzone di grandissimo livello. L’album si chiude così come si era aperto con una versione più lunga della title track quasi a sottolineare che la rivoluzione non finisce certo con l’ascolto del disco.
Con “Revolution Start Now” Steve Earle segna uno degli episodi migliori della sua lunga carriera musicale componendo un album senza cadute di tono, impegnato nei testi, vario ed accattivante nei suoni. Grandissimo disco per un grandissimo artista.