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Era l’esiguo totale di persone che ieri si sono radunate presso lo Zoobar curiose di vedere il concerto di Megahertz. Non neghiamolo, sono molto poche, ma bisogna ammettere che (1) la data non è stata pubblicizzata a dover e (2) bastano 3 gocce di pioggia per paralizzare Roma. In un locale semivuoto si radunano i pochi affezionati al genere e all’artista, sorpresi dal fatto di avere una guest star di tutto rispetto: Lele Battista dei La Sintesi. Ma andiamo con ordine.
Aprono il concerto i Synthomi, duo elettro-pop che guarda più a una new-wave dark che a un pop vero e proprio. Su 2 piedi a vederli sembrano gli air, uno impegnato nelle tastiere e synth e l’altra che si destreggia tra basso e chitarra. Su 2 piedi così a sentirli non convincono per niente. Se da un lato si può apprezzare la ricerca di suono dall’altro non si può che annoiarsi di fronte a canzoni prive di melodia e di struttura, ma soprattutto senz’anima, come se fossero state arrangiate così su due piedi, senza un minimo di riflessione o ricerca, tanto per buttare giù 2-3 pezzi. Veramente poco convincenti. Chiuso il breve set dei Synthomi sale sul palco Megahertz, e basta solo l’intro di Don’t leave me cold, brano che apre il suo cd, per sentire un netto salto di qualità. Vuoi l’attrezzatura o la maggiore esperienza sul palco ma Megahertz ha quell’attitudine, quella particolare predisposizione a creare il ritmo giusto, col pattern giusto e con i suoni giusti. Diviso tra tastiere Korg, campionatori e il fidato Theremin Megahertz, come un gigante tra quelle macchine (ma quanto cazzo è alto?!) scalda subito l’atmosfera con il Mini Calcolatore, cover italiana di un pezzo dei Kraftwerk.
Da questo momento in poi sarà impossibile interromperlo anche solo per un applauso d’approvazione, quello che doveva essere un concerto diventa come uno sfogo per Megahertz che infila uno dietro l’altro la maggior parte dei brani del suo cd tra cui la cover di Bowie Space Oddity, Little girl con la voce filtrata dal vocoder, Pinocchio e Disco Adventure. Sta praticamente suonando tutto l’album infischiandosene del fatto che noi del pubblico siamo lì, sempre con le mani aparte palmo contro palmo pronti per un applauso che non riesce mai ad esprimersi. Ogni volta che l’atmosfera sembra calare e la canzone volge al termine basta toccare un tasto e si riparte con un nuovo pezzo.
Megahertz mini Calcolatore – Se schiaccia un bottone lui fa una canzone.
Il pubblico assiste in un silenzio contemplativo, fa un certo effetto vedere una persona districarsi tra le basi, i suoni, le improvvisazioni al Theremin e il cantato. A tutto ciò aggiungete che nel concerto Megahertz è quello più coinvolto di tutti: mima i pezzi, trova il tempo per regalare pose sceniche, tiene incessantemente il tempo col piede destro e quando il brano lo concede si lancia anche in piccoli balli, quanto quel metro quadrato in cui si trova circondato da strumentazione gli può concedere. Mentre il concerto va avanti realizziamo con un po’ di delusione che Lele Battista non è della partita (“non ce l’ha fatta a venire” ci svelerà in seguito Mega): lo attendevo su Sweet Emotion,…in seguito pensavo arrivasse su Disco Adventure,…Speravo In Estetica ma non c’è stato niente da fare. Lo stesso Megahertz, pilota comandante della serata, fa atterrare quest’astronave carica di suoni elettrici ed elettronici con la stessa Estetica, e proprio verso la fine della serata noto con piacere che parte del pubblico si è sciolto, e si lascia andare sotto il palco a passi dance in tipico stile 80es. Sono sempre del parere che i concerti con poche persone abbiano qualche cosa in più rispetto agli altri, un non so che di magico,vuoi l’atmosfera, il privilegio di avere l’artista tutto per te e quella familiarità che si crea con l’esibizione, che infrange le barriere tra chi sta sopra il palco e sotto il palco e la musica che si muove come più libera, spazia tra le persone e sembra raggiungerti come un dono solo per te.
E megahertz ieri sera ha confermato che questo mio parere è realtà.