Cominciamo subito col dire due cose
Cosa numero uno: questa legge antifumo è una manna dal cielo, mi dispiace per voi, giovani cultori del tumore ai polmoni self service o del “concerto con canna a seguito”, ma stare in un locale come il Circolo con l’aria che si respira, senza sforzare gli occhi tra quelle coltri grigiognole, senza respirare il pesante tabacco che impesta le persone e le pareti crea veramente un’atmosfera ideale per gustarsi un concerto in tranquillità e scioltezza. E se volete potete sempre andare a fumare fuori… certo rientrerete in penultima fila non vedendo niente… e magari fuori fanno pure 2 gradi… Pazienza e comunque quelli sono cazzi vostri.
Cosa numero due l’opening Act. I The Niro sono un gruppo da tenere veramente d’occhio. Formazione tipica con strumenti atipici. The Niro stesso ha un’acustica elettrificata a cassa bassa, il chitarrista una gibson diavoletto nera in perfetto stile hard rock, il bassista sembra uscito da Non ci resta che piangere e il batterista ha un complesso insieme di bonghi, jambè e percussioni in pieno stile afro che creano un sound originale e perfetto per le composizioni. Oltre a tenere il tempo ottimamente infatti il suddetto batterista impreziosisce i brani con originali suoni e rumori, un po’ come il “rumorista” di Morgan nell’ultimo tour, ma con il plus di riuscire a tenere il tempo come un perfetto batterista rock. Il breve set in apertura di concerto è stato toccante e intenso, le canzoni di The Niro escono dalla stessa acqua in cui annegò Buckley, e sono zuppe di quella malinconia onirica che provoca visioni da un dormiveglia disturbato, accarezzando gli ascoltatori con lullabies semi-acustiche dall’anima vibrante e dannata. Un set che seppur breve ha saputo tenere palco splendidamente, coinvolgendo il pubblico che seguiva in silenziosa attenzione, rimanendo anche un po’ deluso quando è stato chiamato per esigenze di tempo l’ultimo pezzo. Peccato, perché sarebbe piaciuto a molti qualche altro brano.
E veniamo a lui, il piccolo biondino dagli occhi azzurri, pronto a tenerci in pugno con la sua presenza e e le sue amate Gretsch. Tipo strano il giovane Sondre Lerche, un pischello che ostenta una sicurezza sul palco quasi fastidiosa, ma come pretendere altro da chi partirà a breve come support di Elvis costello? La sua spavalda sicurezza, ci si renderà in seguito conto, non è altro che una fragile barriera fatta per caricarsi, per “pomparsi” prima del live. Del resto se bisogna affrontare un ora e mezza di set acustico, in un massacrante tour che vede susseguirsi una data dopo l’altra, di fronte ad un audience di cui si sa poco o niente in qualche modo bisognerà pur farsi coraggio! Bastano le prime 3 canzoni e Sondre e già tutt’uno con il pubblico, che seduto sulle sedie sotto il palco (curiosa mise per il Circolo, ma molto apprezzata [soprattutto dal sottoscritto che era praticamente seduto in braccio a Sondre] ) dondola la testa, canticchiando compiaciuto i brani. Le composizioni ed il modo in cui vengono proposte hanno un non so che di magico. Vuoi l’ambiente o vuoi il fatto di vedere questo ragazzino in jeans e polo bianca solo sul palco, come pronto per la recita di fine anno, ma sembra di conoscere tutto di lui. Sembra quasi di essere venuti a sentire un lontano cugino che per la festa di un amico suona qualche pezzo con la chitarra. E poi quelle canzoni, così semplici e immediate, che poi tanto semplici non sono (una marea di settime e accordi diminuiti) come nascoste in un angolo di una memoria collettiva dove solo lui è riuscito ad arrivare. Come se fossero state sempre lì, nelle orecchie di tutti ma solo lui ha trovato la voce e lo spirito per cantarle. Affascina il modo in cui suona la chitarra, che riveste il ruolo di accompagnamento, bassi e riff tutto in una volta, facendo di Sondre l’accompagnatore e il solista di sé stesso. Il concerto è stato ricco di brani da Two Way monologue e Faces Down, distribuiti uniformemente nella scaletta in modo da ritagliare anche un intermezzo molto romantico con la chitarra acustica, ma si vede che il sound elettrico è sempre il preferito del giovane cantautore, tanto che si scusa per non aver portato la sua band (i Faces Down) ma promette di ritornare in seguito con un repertorio più rock. Per ora nei pezzi più tirati si affida ad un semplice distorsore che assieme al vecchio fender tira fuori un bel suono vintaggione da radio valvolare. Tra quattro chiacchiere con il pubblico ironizza sull’aspetto di belloccio che gli hanno cucito addosso, sul fatto che puntassero molto su esso per il lancio del primo cd, racconta com’è nato two way monologue e cosa vuole dire con questa o quella canzone. Il suo inglese e perfetto ma si sforza di renderlo elementare, ricorrendo anche alle 4-5 parole che gli stranieri imparano più in fretta (che non sono pizza mandolino mamma ma grazie-prego-bellissimo-bravissimo) autocomplimentandosi con sé stesso durante i brani.
Si vede che è contento di come la capitale ha risposto al suo live e di come i presenti siano così interessati a lui, e lui stesso non nega il fatto di gradire particolarmente la città, confessando di pianificare spesso una settimana di vacanze qua. Preso un po’ dall’emozione e un po’ dall’enfasi dal momento regala anche due cover, la prima di B.Crosby eseguita solo con la voce (“ci tengo particolarmente a cantare ora questo pezzo, ma non sapendo gli accordi sarà solo a voce”) e una del duo Bacharach/Costello. Two Way Monologue chiude il concerto, e il breve bis prevede come highlight l’indiavolata Sleep on needles, pezzo che seppur uscito 4 anni or sono tutti ricordano perfettamente. In fondo era uno dei brani più attesi, quello che ha fatto scoprire prima all’Europa e poi all’america il talento di Sondre. Questo intenso assaggio delle sue potenzialità live sul palco non fa altro che aumentare la trepidante attesa che torni con tutto il gruppo, per un repertorio più tirato e potente. Del resto lui l’ha promesso, e ha la faccia di uno che le promesse e mantiene.