Intervista a Offlaga Disco Pax: Un’approssimazione per difetto

  • Rocklab: Innanzitutto: chi / cosa / dove / quando sono gli Offlaga Disco Pax.
  • Max: Del “perché” parliamo dopo? Siamo un collettivo minimo standard di Reggio Emilia, nato per caso all’inizio dell’anno dispari 2003
  • R: Ciò che mi piace del vostro disco è la riappropriazione delle atmosfere “nichiliste e ironicamente scure” new wave. Mi spiego, nella scena odierna sono in pochi a continuare quel discorso senza deviare il contenuto proprio della fine anni 70, aggiornandolo.. mi sembra che invece voi ci riusciate in pieno. Siete d’accordo? Seguite la scena odierna e se si, che ne pensate del fenomeno “punk funk” che va tanto di moda oggigiorno?
  • Enrico: Se è vero ciò che dici, primo: non ce ne siamo resi conto, secondo: grazie per il complimento, terzo: wow! Non c’è stata un’ intenzione precisa da parte nostra, l’idea era di liberare le nostre personalità senza partire dai preconcetti dettati dalle classificazioni di stampa e industria discografica. In questo abbiamo evidentemente e almeno in parte fallito se da fuori tutti si accorgono delle nostre influenze primarie. In maniera più didascalica suonavo wave quasi dieci anni fa, facendo un confronto con il contemporaneo trovo molto più new wave i Piano Magic o i Labradford, che non si dichiarano tali ma che hanno influenze sincere, rispetto ad Interpol o Rapture. Ci sono innumerevoli gioielli nascosti tra gli album usciti in quegli anni, molto spesso progetti durati l’arco di sue sole uscite, probabilmente è la stessa industria discografica ad approfittarsi della scarsa reperibilità di certo materiale riproponendolo “ristampato”. O forse, come dice qualcuno, siamo noi i ladri di stile viste le nostre collezioni di vinile…

    Daniele: Le sonorità wave si rifanno sicuramente ai nostri ascolti. Non tralasciamo comunque preferenze musicali molto più recenti. L’unione delle due parti penso possa portare al risultato che abbiamo ottenuto, ma nulla è stato fatto seguendo un percorso preciso. Nella scena moderna c’è un ritorno a vecchi suoni, non solo per il punk-funk ma verso gli anni ’80 in generale. Trovo comunque all’interno dei nuovi gruppi cose molto interessanti, come nello stesso modo trovo cose assolutamente poco appetibili. Poi a tutto questo “remember – rètrò” si uniscono miriadi di ristampe dei vecchi classici del periodo…

  • R: Tra le vostre influenze ho notato una certa propensione all’elettronica e avanguardia pop moderna (Autechre e cLOUDDEAD); che ruolo hanno in un immaginario che fa del passato e del nostalgico il suo punto di forza?
  • E: Probabilmente quello di rendere il linguaggio da noi utilizzato comunque codificabile nel contemporaneo. Quando la storia ti consegna entità affermate col tempo è più comodo avvicinarcisi, mentre il contemporaneo è decisamente più difficile da gestire da fruitore. Basta aprire un mensile musicale qualsiasi alla voce recensioni per rendersi conto che ci vorrebbe una vita ad ascoltare le uscite di un solo mese.
  • R: In giro leggo moltissimi paragoni coi CCCP, ma secondo me non hanno senso d’esistere se non per qualche punto di contatto con certe atmosfere. I temi trattati sono diversi come diversi i contenuti: non sentite questo paragone un po’ scomodo e magari fuorviante per la vostra proposta?
  • M: Sono paragoni un po’ imbarazzanti. I CCCP sono roba epocale e accostarci troppo ad essi potrebbe rivelarsi fuorviante. Ci sono nel disco solo un paio di volenterose citazioni, ma se è vero che certe cose, come la provenienza territoriale e il portato ideologico, potrebbero accomunarci, per l’approccio e per il progetto secondo me le divergenze sono moltissime. Difficile sostenere le aspettative di chi si avvicinasse a noi immaginando di trovarne gli eredi, visto che non nasciamo per rifarci a quel gruppo e musicalmente e per contenuto ne siamo davvero piuttosto lontani.

    E: Dai CCCP ci distacchiamo non appena decidiamo di citarli, con affetto, per mettere le cose in chiaro da subito e tracciare una sorta di linea di confine, oltre la quale desideriamo non andare. Che questo non sia capito da tutti ci può infastidire ma non stupisce. Per me possono essere fonte primaria di stimolo se penso che partendo da questa città di provincia hanno fatto qualcosa che nessuno nel nostro paese si sarebbe mai sognato di. Quando poi i paragoni “sfiorano” invece i Massimo Volume mi ritrovo a pensare che questi per primi abbiano un debito come nessun altro in Italia nei confronti di Ferretti e Zamboni. Per un paese avido come il nostro di novità sembra essere obbligatorio dover precisare che qualcosa nuovo non è, o che abbia una precisa provenienza o doverlo collocare in tutta fretta, come se fossero tutti spaventati all’ idea di ritrovarsi chissà quale mostro sotto il letto.

  • R: Mi piace molto il rivisitare gli anni 80 attraverso i simboli commerciali dell’epoca (il cinnamon, il tatranky), stravolgendoli: quanto c’è della Factory di Warhol in questo?
  • D: In effetti è un punto di vista molto interessante. Ripensandoci con la Factory di Warhol ci sono molti più punti in comune di quanto si possa pensare, anche se il campo di azione è un altro e i riferimenti sono molto lontani. Volutamente non c’è nulla, è divertente scoprire nuovi riferimenti a cui magari non si era mai pensato.

    M: Non ne ho la minima idea. Non conosco l’opera di Warhol se non per sommi capi.
    La nostra Factory di riferimento, eventualmente, sarebbe un’altra… Ho i miei dubbi che i simboli commerciali degli anni 80 fossero i Tatranky e le Cinnamon. Più facile che fossero gli Hurrà Saiwa o le Big Babol.

    E: E’ il rapporto con l’ oggetto che pur nascendo in serialità può stabilire con chi lo stringe un legame unico, sporcandosi d’esperienza e storia personale

  • R: Domanda scontata: che ne pensate della scena indie? Quello che traspare da “tono metallico standard” è abbastanza lapidario…
  • M: Ho 38 anni e non ho mai fatto parte di una scena musicale e men che meno di quella indie. Mi mancano il fisico, il look e la storia personale. Per me Jukka Reverberi è sempre stato il talentuoso figlio del segretario della sezione del Partito Comunista di Cavriago più che il chitarrista dei GdM. Il testo di Tono Metallico Standard l’ho scritto ben prima che nascessero gli ODP (e sia chiaro che non parla di Jukka che appunto non è un cantante). Ho raccontato un episodio assolutamente banale e casuale che parla dell’ INVIDIA, precisamente la mia personale invidia (leggere il testo fino in fondo non guasterebbe) per uno che mi apparve troppo figo e troppo giusto per chiunque. Quel testo parla di me e della mia inadeguatezza, non di quel personaggio in particolare, che tra l’altro viene descritto in modo volutamente forzato. Che poi la storiella abbia scatenato qualche polemica la dice lunga su cose che in verità non conoscevo quando l’ho scritto. Senza volerlo abbiamo forse toccato un nervo scoperto.

    D: Nella scena indie italiana ci sono molte realtà interessanti, peccato che il più delle volte non vengano menzionate e rimangano ai primi posti i soliti gruppi. Sfortunatamente trovo il tutto legato ad una saturazione del mercato, dove troppi gruppi si ritrovano a “lottare” per un minimo di spazio e visibilità. Questo purtroppo porta ad una generalizzazione delle proposte e rimane ai singoli ascoltatori trovare le cose veramente interessanti. Questo comunque non ha nulla a che fare con il testo di Tono Metallico Standard, che potrebbe essere riferito anche a me, visto che faccio il commesso in un negozio di dischi…

    E: In Italia c’è scena indie e scena indie, bisognerebbe distinguere. Con l’avvento della masterizzazione e dell’ autoproduzione il mercato si è saturato di proposte inarrivabili per scarsa reperibilità, mentre dal lato opposto stanno realtà affermate da anni che in una maniera o nell’altra devono fare i conti col mercato e le sue leggi. La verità sta più o meno in mezzo secondo me, dove c’è un sacco di gente che lavora in maniera sincera ed appassionata a ciò in cui crede riuscendo a ritagliarsi con vie anche artigianali una posizione di assoluto rispetto e riuscendo a proporre qualcosa di fresco. La tragedia rimane il continuo riallacciarsi al cugino anglosassone contemporaneo di turno.

  • R: Ci sono gruppi in Italia che seguite, o magari con i quali vi piacerebbe collaborare (o magari anche esteri)?
  • D: Se avessi le possibilità economiche e non solo penso che chiamerei Robin Guthrie anche oggi stesso. Per quanto riguarda l’Italia non ho mai seguito molto il cantato in italiano, quindi ho sempre fatto abbastanza fatica a legarmi ad un gruppo in particolare. Ho sempre amato ed amo ancora gli Scisma, anche se non esistono più, spererei prima o poi di riuscire a collaborare con Paolo Benvegnù. Personalmente sto già collaborando nella realizzazione del prossimo disco delle Forbici di Manitù.

    E: Gli Uochi Toki sono grandiosi dal punto di vista espressivo, sarebbe carino invitarli a collaborare, ma li rispetterei ancora di più se rifiutassero insultandoci… Poi Settlefish e Disco Drive. All’estero non saprei, vorrei tanto sapere cosa pensa James Murphy riguardo ai paragoni della nostra stampa con la sua creatura. Immagino una crisi isterica.

    M: Seguo da sempre i Diaframma e mi piacciono i gruppi che usano l’italiano.
    Ho una passione per i Kyrie, gruppo neo wave milanese.

  • R: Parlatemi un po’ dei vostri live, che succede di differente dal disco?
  • D: La registrazione del disco ha mantenuto abbastanza la formula del live, gli strumenti che usiamo sono sempre quelli e abbiamo cercato di ridurre al minimo le sovraincisioni.
    A parte la batteria “suonata” in un paio di pezzi, il resto del disco è abbastanza fedele ai nostri concerti, chiaramente abbiamo tenuto anche qualche cosa di differente da presentare dal vivo.
  • R: Che ne pensate del fatto che alcuni pezzi giravano in rete molto prima dell’album?
  • E: Abbiamo scoperto che alcune tracce live erano in rete mesi dopo le stesse esibizioni. Da lì e’ stato un incontrollabile via vai lungo lo stivale, personalmente trovo meraviglioso essere stati in un qualche modo “eletti” dalla gente ancor prima di trovare un’etichetta, invidio chi ha seguito da fuori il crescendo di eventi, noi forse non ce ne siamo ancora accorti.

    M: Sono brani che circolano in rete in versioni dal vivo (spartanissime essendo documenti dei nostri primi concerti, ancora del 2003) o di un demo registrato da Gaetano Dimita all’inizio del 2004 che non abbiamo mai praticamente distribuito perché nel frattempo è nata la possibilità di fare il disco. Di quel demo abbiamo anche sfruttato diverse riprese: “Kappler” è proposta sul disco nella versione del demo senza alcuna aggiunta, abbiamo solo riprocessato e mixato in studio le tracce originarie. La rete per
    adesso ci ha dato più visibilità che problemi e ci ha accolto benissimo.

    D: Trovo la cosa comunque positiva perché ci ha dato la possibilità di farci conoscere da molte più persone. La rete offre infinite possibilità e riesce a velocizzare i tempi in modo incredibile. Grazie a questo e a un incredibile passaparola siamo riusciti a suonare per più di un anno in quasi tutta Italia senza nemmeno un disco né un demo da distribuire, quindi non è del tutto negativa come cosa. Poi che il download selvaggio via internet mi trovi in completo accordo è un’altra faccenda.

  • R: Max, mi piace molto il tuo modo di scrivere e raccontare (e ammetto che, pur aver vissuto solo la fine degli anni 80, un po’ di nostalgia me l’hai messa): chi ha influito particolarmente sulla tua crescita letteraria?
  • M: Ho iniziato a scrivere racconti intorno al duemila, senza avere nessuna idea che sarebbero stati usati per un gruppo (è del tutto casuale e imprevedibile il loro successivo utilizzo per una cosa come gli ODP, che sono nati dopo e non per mia iniziativa). Sono un lettore attento ma non maniacale. Due persone mi hanno incoraggiato tantissimo all’inizio, spingendomi a continuare: Giuseppe Caliceti, uno scrittore reggiano piuttosto noto, e Arturo Bertoldi. Quest’ultimo anche autore del testo di “Cinnamon”, che è tratto da un suo racconto che io ho solo accorciato e adattato. Amo molto alcuni scrittori italiani contemporanei, tra cui Paolo Nori, Simona Vinci e Silvia Ballestra. Tra gli stranieri mi piace Jonathan Coe.
  • R: Non è che hai in mente di pubblicare qualcosa, prima o poi?
  • M: Non ho molto materiale, non lo so. Non scrivo tantissimo. Al momento mi interessa molto di più il gruppo che questa cosa. Se avrò la possibilità di pubblicare un libro in futuro vorrei che copertina e grafica siano curate da Enrico e che Daniele fornisca in regalo come gadget un effetto o un pedalino di una sua chitarra o almeno un disegno di essi.
  • R: Ho letto in varie interviste che c’è un video in lavorazione.. non è che ci potete fare qualche anticipazione?
  • E: Il regime richiederebbe assoluto silenzio a riguardo, diciamo che ne stiamo parlando in questi giorni. Sarà sicuramente numerato e in un qualche modo persevererà nell’omaggio all’analogico rispetto al digitale, anche se visti i costi non potremo permetterci di girarlo in pellicola. Sarà una collaborazione con amici più o meno esordienti nel campo, ma con tanto talento e voglia di fare.
  • R: Ultimo ma non ultimo: i vostri ultimi ascolti?
  • E: Ups… dagli A Certain Ratio agli Xiu Xiu in perenne rotazione alfabetica casuale.

    D: Daft Punk – Human After All
    Settlefish – The Plural of the Choir
    Yo La Tengo – Prisoners of Love
    …and you will know us by the Trail of Dead – Worlds Apart

    M: Vancouver – Great news from the foggy town
    Kyrie – Le Meccaniche del Quinto
    FR Luzzi – Happiness is an overestimated value
    Moda Pronta – Musica per le Masse.