Arrivo al Circolo Degli Artisti per le undici, giusto in tempo per leggere sulla porta d’ingresso che a supporto degli Zu non ci saranno solamente i The Album Leaf, ma anche i Czars. Giusto in tempo per perdermeli, aggiungo appena entrato, proprio mentre il secondo gruppo saliva sul palco. Non vi resta che gustarvi questa recensione a metà. Gli Album Leaf presentano un suono che, in fondo, per quanto usato da miliardi di gruppi post rock su questa terra, durante i primi pezzi attira parecchio. Il problema arriva col passare dei minuti: non aiuta di certo l’atteggiamento del violinista, ampiamente diviso in due parti; la catarsi più completa, l’autismo più estremo, rispettivamente nei suoi tempi morti e durante le sue parti. Di certo vedere una persona, seduta immobile, che guarda verso il nulla mentre la musica continua a fluire, non è il massimo dello spettacolo, ma tant’è, la musica si fa mediamente valere: un impianto post rock su cui vengono aggiunti beat ed echi glitch, rallentamenti ed esplosioni che a volte tentano l’ascoltare a volte no, tra il chiacchiericcio della gente e gli applausi. Fosse stata un po’ meno statica l’esibizione degli Album Leaf (e non intendiamo solo le pose del violinista, ma anche una certa reiterazione della struttura delle canzoni, che, a ben sentire, si reggevano tutte su pattern molto, troppo, simili tra loro), sarebbero stati una bella sorpresa, invece di rimanere “un bel gruppo di post rock del 2004”. La sorpresa invece sono gli Zu, ovviamente. Inutile dire che, all’approssimarsi della fine del set del secondo gruppo di supporto, il Circolo improvvisamente comincia a riempirsi. Una decina di minuti per montare il palco, che dire minimalista è poco: è meglio dire punk. Perché punk sarà l’aggettivo più adatto per la continuazione della serata, e sarà quello che più verrà in mente durante il live, a partire dall’aspetto estetico per finire a quello musicale. E poiché di punk si tratta, partiremo a parlare di una cosa inutile, ma che sarà l’emblema del concerto: le magliette degli Zu. Prima cosa: Massimo con la maglietta di Dalek. Per chi non lo sapesse, Dalek è un protetto della Ipecac, l’etichetta di Mike Patton, ed è un trio di malati che fondono l’industrial col noise e il rap; Jacopo alla batteria, una maglietta dei BC/DC (dai, non mi dite che non avete colto!): e con questo il cerchio si apre e si chiude. Inoltre, per continuare questo concettuale de inutilitate, citeremo sempre Jacopo a suonare la batteria, scalzo; e l’affermazione del gruppo, subito dopo la prima canzone, di togliere ogni tipo di luce e mantenere quella fissa, bianca. Ora, cosa vuol dire tutto questo? Vuol dire trovarsi di fronte ad un gruppo che fonde il free jazz con una potenza mai vista prima, in un set che definire devastante è poco. Vuol dire assistere ad un’esibizione frastornante, dove le tracce dell’ultimo Radiale e i pezzi passati si fondono in un vortice di tecnica e potenza da rimanerci secchi. Ero curioso di vedere gli Zu dal vivo: volevo avere la certezza che riuscissero a mantenere quell’equilibrio ritmico devastante di Vegetalista, quei controtempi di sax perfettamente bilanciati col noise di Arbol De La Esperanza Mantente Firme, quella reminescenza DNA di Monte Zu.. e c’erano tutte, per la miseria, e anche di più! E’ inutile, la dimensione in cui gli Zu possono esprimersi al meglio è quella live, dove il trio esplode, letteralmente. Considerazioni sparse: ho sentito solo due persone tirare fuori tali deliri sul basso, e la seconda è Matt Lukin, ex Melvins, e questo è tutto un dire, se conoscete un minimo l’attitudine del gruppo di King Buzzo; veder mettere un cacciavite tra le corde per avere a portata di mano strani effetti (mi sono quasi meravigliato quando, avvicinato al palco a fine concerto, non ho trovato per terra nessun pedale) da abbinare a percussioni sullo strumento ad opera di manate, bacchettate, colpi, ticchettii e accordi; ascoltare dieci minuti di feedback bassistico nel quale il sax di Luca si fa simile ad una crisi di Tourette inarrestabile, quasi a non volersi arrendere alla catarsi del rumore, dove asmaticamente si aggrappa a qualunque piglio sonoro creando uno strano effetto di sdoppiamento drammatico (non nego che mi sono venuti in mente i deliri noise a cui ci hanno abituato i Sonic Youth live); assistere a Jacopo che ad un certo punto si alza dalla batteria urlando come un pazzo, e, dopo un boato di approvazione da parte del pubblico, riparte a maltrattare la batteria con tempi inesprimibili e intricatissimi, pronto a colpire qualunque cosa capiti a tiro (ho visto colpire da vari gruppi le aste dei piatti, ma mai gli attacchi!); e programmatico è allora riportare la sua frase ironica (ma neanche troppo) durante il concerto: “guardate che mica è facile”. Insomma, tutto quello che potreste immaginare ascoltando gli Zu su disco, nel live viene concretizzato. Per chi non c’è stato, posso solo dire che vi siete persi il devasto totale.