Quando due mesi fa mi sono trovato fra le mani il disco d’esordio degli F.dB non sapevo ancora nulla della dipendenza che può dare l’ascolto delle loro canzoni, capaci di unire una semplice ma incisiva e ottima musica a dei bellissimi testi. Allo stesso modo sono stato piacevolmente sorpreso dalla grinta che hanno nel proporre i loro brani dal vivo. Ho raggiunto via e-mail Nicola (voce e chitarra della band) per farmi raccontare qualcosa del gruppo, delle loro canzoni, dei loro progetti.Cominciamo dal nome: cosa vuol dire F.dB? Come nasce il gruppo?
Effettivamente la bio non rende giustizia a quello che è la nascita del gruppo. Sarebbe stato più corretto parlare di una non nascita…come la maggior parte delle cose belle che ci capitano sono casuali…siamo 4 amici da sempre…non c’era un progetto o un programma. Quando abbiamo cominciato a vederci per provare volevamo semplicemente passare delle serate divertenti nella cantina di Roberto…. l’esigenza del nome era nata dopo, quando stavamo per fare il nostro primo concerto…siccome i nostri coetanei ( poco più che ventenni) si riconoscevano in nomi assai “violenti”(se violento può essere un colpo di tosse), scegliemmo un nome autoironico, che ci è rimasto un po’ sulla pelle…ci sono stati lunghi e piacevoli periodi di cazzeggio… “Frutti di bosco”. Nonostante la musica sia cambiata da un punto di vista stilistico, il nome resta ad accompagnarne l’evoluzione.
Le vostre canzoni coniugano, secondo me, una semplice ma ottima musica e dei bellissimi testi. Come nascono i vostri brani?
Una domanda sul processo creativo?…Beh, un testo nasce come una rielaborazione irrazionale di quello che ci succede, qualcosa a cui assistiamo e ci colpisce…spesso le prime frasi sono indecodificabili anche da me che le scrivo. Serve un po’ di introspezione per sviluppare quell’idea perchè arrivi ad essere oggettivamente rappresentativa dell’emozione, senza realmente descrivere l’episodio che l’ ha evocata… un po’ come la lettura dei simboli nei sogni o sei vuoi come una sorta di digestione. Un po’ contorto? Per l’aspetto musicale il lavoro diventa più corale, è un lavoro da sarta. Dobbiamo mettere il vestito giusto alle parole…e, dato che i testi sono molto intimistici, la semplicità nasce dalla volontà di non appesantirli, una buona sarta non metterebbe mai un cappotto addosso ad una persona in mutande.
“Manuale per funambolisti”, un ottimo disco d’esordio secondo me, raccontatemelo.
Grazie, siamo molto contenti che il manuale ti piaccia. Il titolo è ispirato da un bel libro del funambolo Petit, “Trattato di funambolismo”. Tutto il libro è giocato sul parallelo che esiste tra la propria arte e la capacità di sopravvivere, analizza l’essere “funambolisti” non come scelta ma come bisogno irrinunciabile. Parla dello stare in equilibrio sul cavo d’acciaio come della ricerca di un proprio equilibrio interiore, una sorta di filosofia pratica di vita, della sincerità che è necessaria per fare quella forma d’arte, dato che, con tutta la posta in gioco (la propria vita) è molto facile cedere all’idea di aiutarsi con trucchi che non ti fanno cadere ma compromettono la tua integrità. Critica gli equilibristi da circo con rete di protezione e chi si fa pagare in occasione di fiere o feste. Quando abbiamo scritto le canzoni non c’era nessuna produzione o nessuna prospettiva di stamparle, quindi sono tutte sincere e finalizzate a loro stesse… o forse, più precisamente, scritte per appagare la necessità di scriverle.
Trovo molte influenze, particolarmente del rock italiano, nella vostra musica. Ma magari mi sbaglio. Quali sono i dischi e i nomi sotto la cui ombra nasce il vostro disco?
No, non ti sbagli. Personalmente sono un grande consumatore di musica italiana, ma di rosa più ampia (amo parecchi cantanti italiani di vecchia generazione, li trovo attualissimi e poderosi all’ascolto), raramente riesco ad appassionarmi a musicisti anglofoni ( non ho detto mai, ci sono parecchie eccezioni). Trovo che il legame tra il suono e il significato di una parola sia sfuggevole e molto meno istintivo se non appartiene alla lingua con cui normalmente comunichi. Anche per gli altri frutti vale più o meno la stessa idea. Parlando del disco credo che l’espressione creativa sia comunque figlia della società in cui viviamo, sicuramente non possiamo ricordare un canto tibetano o il fado. Suoniamo due chitarre che vorrebbero essere essenziali e taglienti, se suonassi il piano e gli altri fossero una sezione di fiati forse sembreremmo Paolo Conte. Io sono tenore leggero (questo è il mio registro vocale), il che rende il gioco ancora più facile…Del resto sappiamo di dover confrontarci con una certa necessità catalogatoria…. Sono anche certo che i Blur assomiglino ai Beatles, che Capossela assomigli a Tom Waits, che i primi Verdena assomiglino ai Nirvana, che i Marlene Kuntz assomiglino ai Sonic Youth… a parte scherzi credo che il disco abbia una sua identità.
Quali sono i vostri progetti per il futuro? Dove sognereste invece di suonare?
Siamo in fase di promozione, Davide Catinari e la K-factor stanno lavorando per pubblicizzare questo nostro progetto. E’ una persona coinvolgente ed appassionata, siamo sicuri che sta facendo del suo meglio per farci conoscere. Per quel che ci riguarda speriamo di poter suonare dovunque, anche dove non ci vogliono…
Vi piacerebbe unire la vostra musica a qualche altra forma d’arte (cinema, proiezioni artistiche, spettacoli teatrali…)? Se si quale e perché?
Si, ci piacerebbe.. trovo che le esperienze legate all’interdisciplinarietà siano molto costruttive.Credo che in qualunque forma d’arte ci sia un’intenzione che si manifesta nella capacità comunicativa, manifestazioni differenti di un’unica tipologia di emotività. Non ritengo molto diverso l’atteggiamento di un regista da quello di un arrangiatore, da quello di uno sceneggiatore a quello di un pittore. Se mi pongo nella prospettiva di un fruitore di arte, non cambia la percezione del risultato nel senso della partecipazione emotiva, indipendentemente dal fatto che l’arte sia visiva o meno. Mi ricordo l’emozione prepotente nel guardare “Guernica”, stessa emozione provata nel leggere l’ultimo capitolo di “Cent’anni di solitudine” o nel vedere il finale de “la Grande guerra”… Da un punto di vista personale mi piacerebbe molto lavorare ad una colonna sonora per un film o uno spettacolo teatrale. Dato che non l’ho mai fatto mi piacerebbe tentare un’altra forma compositiva. Abbandonare temporaneamente la struttura canzone e dedicarmi alla descrizione solo musicale di immagini e non di parole… un esempio tra tutti che trovo riuscitissimo (e inarrivabile) è la collaborazione tra Jim Jarmush e Neil Young per “Dead man”.
Concludo con una domanda di rito: con chi vi piacerebbe collaborare dell’attuale panorama musicale italiano?
Mi piacerebbe molto una voce femminile, tra le tante validissime il sogno sarebbe Cristina Donà, con la sua sensualità e delicatezza…o poter collaborare con un produttore artistico che ci insegni un po’ quello che per noi è stato un esperimento. Ci piacerebbe molto poter lavorare con Giovanni Ferrario, che oltre a essere un musicista notevole anche a livello umano ci è sembrato una persona molto piacevole.