Aspettavo con ansia questa serata di concerti da quando è stata annunciata qualche mese fa per un semplicissimo motivo: “Drinking songs” di Matt Elliott ha monopolizzato a lungo i miei ascolti e ancora adesso entra spesso nello stereo, sentirlo dal vivo è quindi un desiderio che avevo da un bel po’ di tempo e non sono stato assolutamente deluso. Ad aprire la serata gli (R), trio di musicisti che nasce da una costola dei Larsen grazie alla mente creativa di Fabrizio Modonese Palumbo e che propone un buon set tra il noise e il post-rock partendo da atmosfere rarefatte ma arrivando sempre a colpire il pubblico con ottime esplosioni sonore grazie anche all’uso di più strumenti. Sinceramente per quanto ho ascoltato ieri sera superano in una mia ipotetica classifica di gradimento i “genitori” Larsen. Manyfingers è in pratica Chris Cole, ossia il polistrumentista che accompagna Elliott. L’influenza “Third eye foundation” si sente tutta e il suo set elettronico è veramente molto gradevole grazie anche ad un uso sapiente dei loop e ad una capacità musicale veramente notevole sia nei momenti iniziali dei brani che nella loro conclusione. Il concerto di Matt Elliott si rivela quello che mi aspettavo: qualcosa di semplicemente unico. Partendo dall’iniziale “The kursk” la prima parte della sua esibizione si tiene a quei livelli altissimi di dramma e coinvolgimento che rendono “Drinking songs” un album strabiliante. Brano migliore tra quelli proposti è stata sicuramente un’intensissima “What’s wrong” semplicemente da brividi, un walzer macabro che alla fine diventa quasi
rabbia in un’inedita esplosione sonora. Da sola questa canzone vale il prezzo dell’entrata e mesi d’attesa, da lacrime. Dopo una prima metà d’esibizione dedicata ai brani più introspettivi Matt Elliott cambia faccia e propone una seconda parte del concerto puntata sui brani più elettronici centrata sulla lunghissima “The maid we messed” estasiante per tutta la sua durata, sia nella pacata introduzione che nel delirio drum ‘n bass che la caratterizza. Un set brillante quello di Elliott, in due sul palco grazie a un uso perfetto dei loops rapiscono totalmente il pubblico genovese lasciandogli il gusto di un concerto semplicemente unico e meraviglioso sia nei momenti grondanti sensibilità che in quelli attivi ed esplosivi, come un elegante barcollare per perdersi tra i suoni e le emozioni. A concludere la serata in bellezza ci pensano i Grails, quintetto post-rock che ricorda piacevolmente i primissimi Mogwai, i loro brani sono potenti e ben composti, viziati un po’ solamente da preparazioni eccessivamente lunghe che fanno perdere un po’ di attenzione allo spettatore, considerando anche i tre concerti che pesano sulle orecchie, ma riescono comunque ad essere interessanti e nelle parti più esplosive molto piacevoli. Una proposta dalle ottime capacità e con idee spesso convincenti. Mi aspettavo una bella serata di musica e ammetto di essere totalmente soddisfatto sia dai tormentati sogni alcolici di Elliott che dagli altri artisti presenti. Questa mattina mentre lavoravo in condizioni zombie dopo due ore di dormita, non potevo che considerare quanto ne sia valsa totalmente la pena.