Tra musica e bagliori nella terra dei Port-royal

  • Se devo dire un disco che mi ha veramente impressionato nel 2005 uno dei primi titoli che mi vengono in mente, se non il primo, è “Flares” dei genovesi Port-royal.
    Un miscuglio elegante di post-rock e elettronica, rilassante ma mai noioso, perfetto nei suoni e nelle melodie.
    Ho raggiunto Attilio (chitarrista della band) via e-mail per conoscere più da vicino questa che risulta essere una delle proposte musicali più interessanti dell’attuale panorama discografico.

    Rocklab: Una musica glaciale ma incredibilmente evocativa e in grado di riempire d’immagini ed emozioni la mente dell’ascoltatore. Come nascono i vostri suoni?

  • Port-Royal: Il primo passo è la ricerca di una melodia che ci soddisfi, anche semplicemente un arpeggio di chitarra o degli accordi di synth. Su questa base costruiamo parecchie variazioni melodiche sul tema. Dopo di che è tutto un lavoro di scelta dei suoni e di loro progressiva stratificazione; infine di riflessione sulla struttura del pezzo, sull’opportunità di inserire ulteriori variazioni o pause. In tutto ciò fondamentale è l’uso del computer, strumento che ci permette di rifinire ogni minimo particolare di ogni suono e passaggio. Questa sorta di perfezionismo non toglie però che il risultato finale cui miriamo rimanga al fondo di una certa sobrietà e immediatezza. Quello che ci spinge a fare musica in generale è comunque il bisogno di creare qualcosa di personale in grado di trasmettere un senso profondo di malinconia, di rimpianto, insomma, una tensione ineliminalbile (verso qualcosa che spesso è anche soltanto indefinito) che, in fondo, è ciò che ci tiene in vita in quanto macchine desideranti. Il materiale privilegiato da cui traggono origine le nostre composizioni è costituito dalle nostre esperienze vissute che sono marchiate da questa tensione.
  • R: Il vostro album “Flares” è prodotto dall’inglese Resonant. Come nasce
    questo sodalizio artistico? È difficile per una band italiana per quanto valida trovare spazio nel catalogo di un’etichetta internazionale?

  • P: Ci sembra che ogni anno che passa questo tipo di contatti diventino sempre più frequenti; molte etichette indipendenti inglesi e americane sono spesso attente alle realtà provenienti da zone, per così dire, periferiche. Per quel che riguarda il nostro caso, semplicemente andò che ai responsabili della Resonant piacque davvero molto un demo con tre tracce che spedimmo a varie etichette europee nella primavera del 2004; ci chiesero altro materiale e prima dell’estate ci dissero che avrebbero pubblicato un nostro disco… Peraltro, ci furono un altro paio di etichette che mostrarono un interesse concreto per la nostra proposta; decidemmo di concentrarci sulla label inglese per via del suo catalogo, senza dubbio di ottimo livello, e perché i due responsabili ci parvero sin dai primi contatti persone davvero in gamba e alla mano.
  • R: Qual è l’esperienza che ricordate con più affetto di questi anni passati a calcare i palchi?
  • P: Premettiamo che non siamo mai stati un prototipo di band continuamente on the road, tutt’altro. Comunque, una sensazione particolare fu chiudere il Goa Boa 2005; eravamo effettivamente emozionati, perché davanti a noi c’era molta più gente rispetto a quanta siamo abituati… Un’altra bella esperienza fu la serata con i Tarentel al Milk, a Genova, un anno fa; fare sound check e cena fianco a fianco e scambiare due chiacchiere con un gruppo “storico” come loro non è cosa che capita tutti i giorni… Infine, ricordiamo sempre con piacere certi posti dall’atmosfera particolarmente piacevole, come la fortezza di Gradara, location di un festival dello scorso settembre in cui conoscemmo i To rococo rot.
  • R: Anche se prodotti all’estero nascete a Genova. Con che occhio vedete l’attuale scena del capoluogo ligure?
  • P: Non pensiamo che parlare di scena abbia molto senso; preferiamo quindi parlare di singoli gruppi con idee personali più o meno valide e una maggiore o minore abilità e sensibilità nel dare loro forma… Quello che ci sta intorno a Genova non crediamo che conti molto (riteniamo, del resto, che l’arte possa svilupparsi bene perlopiù in una condizione di solitudine, pur senza isolarsi dal mondo…). A Genova ci sono sicuramente una serie di gruppi che iniziano a trovare degli spazi di una certa importanza; gli Enroco, per esempio, che fanno, peraltro, un genere diverso dal nostro, sono un’ottima realtà.
  • R: Ambient? Post-rock? Elettronica? La vostra musica è difficilmente
    inquadrabile, un’unica definizione gli va stretta. Quali sono le vostre
    influenze e se proprio ce n’è bisogno a quale genere musicale vi piace
    essere affiancati?
  • P: Siamo stati influenzati da gruppi elettronici come Autechre e da dischi “post-rock” come Young Team dei Mogwai, i quali, al di là di etichette e generi, riuscivano a comunicarci, attraverso uno stile fluido e profondo, un senso di malinconia inestirpabile. Pertanto non possiamo rispondere a quale genere tra i 3 summenzionati preferiamo essere accostati, visto che tutti e 3 danno un’idea parziale della nostra musica… D’altronde definirci è davvero l’ultima preoccupazione che abbiamo! Se vorrà sarà l’ascoltatore e/o il recensore a dare un genere d’appartenenza ai port-royal. Noi da parte nostra ci preoccupiamo solo di continuare a produrre quello che ci piace e che rappresenta bene il nostro stato d’animo al di là di ogni possibile etichetta.
  • R: Progetti per il futuro?
  • P: In queste settimane ci stiamo concentrando sulla registrazione del nuovo materiale (registrazione già iniziata da maggio e proseguita a fasi alterne); il nuovo album dovrebbe essere pronto entro l’estate se tutto va bene… Inoltre, stiamo mettendo insieme i pezzi per un disco di remixes dei brani di Flares; per l’occasione abbiamo scelto di contattare tutta una serie di musicisti di ogni dove, elettronici ma non solo, che abbiamo apprezzato particolarmente in questi anni, come Minamo, Landing, Fizzarum, F.S. Blumm, Manual, A. Kiritchenko, Metamatics, Boom Bip, d_rradio, Ulrich Schnauss, Skyphone, Stafraenn Hakon e parecchi altri. Per quel che riguarda il live, abbiamo intenzione di portare in giro per l’Italia un set elettronico (laptop e sintetizzatori), se possibile accompagnato dalla proiezioni di filmati; il primo test per noi in questo senso è stato il Netmage Festival di Bologna (lo scorso 27 gennaio) con Andrea Dojmi (test brillantemente superato!) e altre date sono alle porte; per chi fosse interessato, invitiamo a controllare le news del nostro sito o la nostra pagina myspace http://myspace.com/uptheroyals.
  • R: Secondo me “Flares” è un album molto “cinematografico”. Di quali film
    vi piacerebbe che facesse da colonna sonora?
  • P: Bella domanda… Flares potrebbe essere perfetto per qualche vecchio film di Bud Spencer e Terence Hill, per film come “Barry Lyndon”, per qualsiasi cosa di Kieslowski (in particolare il “Decalogo”) e per pellicole intense e crude come i film di Michael Haneke e Ulrich Seidl… Infine, altri 2 film dove, secondo noi, starebbe benissimo la nostra musica sono il tedesco “Lichter” di Hans-Christian Schmid e lo svedese “Lilja 4 ever” di Lukas Moodysson… “Karola Bloch” sembra composta apposta per Oksana Akinshina, la giovane meravigliosa attrice russa protagonista di quest’ultimo film…
  • R: Per finire, secondo voi cosa servirebbe e di cosa potrebbe fare veramente a meno l’attuale panorama musicale indipendente italiano?
  • P: Pensiamo che più di tutto in Italia ci sia bisogno di un sostegno e di una volontà rinnovata per dare vita a nuovi spazi il più possibile professionali e adeguati per l’attività concertistica. Quanto a ciò di cui il mondo musicale italiano potrebbe fare veramente a meno… be’, forse sarebbe meglio se ci fossero meno gruppi sedicenti alternativi che si limitano ad imitare certa musica che viene da fuori, producendo spesso musica insipida, e a pretendere tanto senza dare nulla… In genere, sarebbe meglio se ci fossero meno bands tout court, non solo italiane; c’è troppa musica in giro e troppo poca che voglia davvero comunicare qualcosa e sia veramente degna di questo nome. Ci troviamo, con l’attuale situazione musicale, nella paradossale condizione di morire di fame in un supermercato… nella totale abbondanza, la roba musicale buona e fruibile è davvero poca…