Sweepers – Sweepers

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Cosa possono combinare insieme un chitarrista cantante appassionato conoscitore dei sixties italiani ma folgorato sulla via del grunge, un batterista ex Santarita Sakkascia (qualcuno di Roma?) ma con un cuore di raffinati intarsi metallici e un eclettico bassista fedele di religione zappiana? Innanzi tutto mettono su un gruppo, si costruiscono una credibilità dal vivo suonando nei club e nei festival di musica indipendente della penisola e dopo quattro anni di gavetta producono il loro primo lavoro.
Conosco gli Sweepers da molti anni e ammetto che non è facile a questo punto parlarne con distacco.
Comunque sia, per chi non li conoscesse, e penso siano in molti visto che questo è il loro primo lavoro ufficialmente distribuito, diciamo che si tratta di un trio romano, responsabile di un suono che da molte parti è stato definito come power-pop.
Ma le bottiglie di vino buono, oltre all’etichetta presentano un’estesa descrizione dei sapori sul retro, così diciamo che la proposta degli Sweepers installa su una base robustamente rock ‘n roll nell’accezione più diretta e impattante del termine una rosa cangiante di sfumature e di colori. Si rintracciano qua e là profumi del sixties, anche italiano, l’aridità secca di certo stoner, fino ai settanta, led zeppellin in testa, ma riletti attraverso l’approccio acido stropicciato magmatico e urgente dei migliori ‘90 americani e del sound di seattle.
La produzione, a volerla dire tutta, ha voluto privilegiare, tra tutti i sapori e i profumi che gli Sweepers ci offrono, quelli più easy, così da rendere il tutto fruibile anche ai palati meno allenati, relegando più in profondità gli spiriti più robusti e decisi, portando un po’ troppo in primo piano la voce, a mio avviso, e costringendo il drumming di Alessandro Palermo sullo sfondo. Perdendo -per così dire- un po’ in groove a favore della melodia. Ma, se è la melodia a farla da padrona, gli orecchi più smaliziati non tarderanno ad accorgersi della sostanza fluida e calda che scorre e innerva in profondità il sound del trio romano e che, inutile dirlo, in veste live non aspetta altro che debordare in superficie producendo dal vivo un muro di suono francamente impressionante. Ed è davvero incredibile che un trio basso chitarra e batteria sia capace di produrre tanto rumore compresso ed energia.
La stessa cosa che si dice del sound va detta anche della tracklist, che tende a nascondere gli episodi più robusti, e che personalmente ritengo migliori, dietro uno schermo di tracce più “easy-listening”. E infatti a partire dalla quarta traccia (Io non ci sarò) il disco decolla, sia dal punto di vista del songwriting che del suono, e il gruppo sembra convincersi e compattarsi. Psychofreak ha la forma del singolo, Biancofiore ha un incedere nirvaniano, più da Mtv unplugged però, e che però stupisce con la sua bella coda rumorosa e sferza come si deve sul finale. Isola realtà è una canzone singolare davvero, forse perché in Italia è difficile ascoltare un pezzo (in italiano) puramente e classicamente rock ‘n roll senza intellettualismi di sorta. Ed è forse proprio questa la nota più caratterizzante degli Sweepers, che appaiono così classici, ma senza esserlo davvero. Sono singolari qui ed ora, ecco tutto, e mancano totalmente di sovrastrutture. E questa singolarità è accentuata ancor di più da una scrittura delle lyrics molto lineare, cosa rara in territorio italiano, dove più frequentemente si gioca la carta della poesia o dell’oscurità simbolica. Da segnalare anche la presenza di un’ottima bonus track dove il gruppo tira fuori per la prima volta una certa ironia, che davvero non guasta all’interno del loro sound, e che anzi potrebbe costituire una strada interessante da battere per le loro future produzioni.