Eyving Kang è uno di quegli artisti “silenziosi”. Dal curriculum infinito per quanto riguarda collaborazioni e opere si è sempre mosso nell’ambito sperimentale lavorando con artisti piu’ diversi partendo dallo studio della viola e finendo oggi a comporre opere d’avanguardia musicale legate sempre alla sua ricerca personale dove filosofia, musica, alchimia, astrologia e religione si fondono. Oggi presenta la sua opera appositamente composta per il festival “L’Altro suono” organizzato dal Teatro Comunale di Modena in collaborazione con Angelica Festival con le voci principali di Mike Patton e Jessica Kenney accompagnati da Alberto Capelli a Walter Zanetti alla chitarra acustica, chitarra elettrica e sitar, dai fiati dell’Ensemble di Ottoni di Modena e dal Coro da Camera di Bologna: tutti diretti da Aldo Sisillo. Per l’occasione Kang ha scelto di interpretare i testi di Giordano Bruno, John Scotus Eriugena, Marbodo di Rannes e Pietro D’Abano rigorosamente in latino. Quest’opera si muove nell’ambito dei lavori presentati al Teatro Comunale di Modena che da diversi anni propone programmi interessantissimi e collabora artisti di fama riuscendo a proporre opere e progetti di richiamo internazionale. Al teatro l’aria è distesa e ci sono numerose persone, molte attratte dal nome di Mike Patton in cartellone. La curiosità è tanta rispetto a come si presenterà il cantante americano ripetto al contesto inedito e piu’ formale dei palchi rock che è abituato a calcare. Io mi dispongo nella mia quarta fila di fianco a una coppia di signori di una certa età probabilmente abbonati al teatro e curiosi rispetto a ciò che stanno per assistere di cui però non sanno niente. Passo l’attesa a chiacchierare con loro fino a quando le luci del teatro non si spengono e salgono sul palco prima il coro, poi il resto dei musicisti fino ai cantanti che fanno attendere un attimo di piu’. Jessica Kenney è apparentemente tranquilla, mentre Mike Patton interamente vestito di bianco è un tantino nervoso e si asciuga più volte le mani. Applausi di rito e si inizia. Per primi inizia il coro femminile su “Aetherios Cyelos” tratto da “De peschate” di Jhon Scotus Eriugena al quale risponde il coro maschile con un brano tratto dal “Cantus Circæus” di Giordano Bruno. Il coro disegna momenti circolari dove ogni elemento viene risucchiato da una spirale immaginaria fino a che anche i fiati si aggiungono a sottolinerare i momenti di Maris domina dove si inserisce Patton leggendo versi in modo distorto, come se fosse posseduto da un’entità maligna, riportando alla memoria le performance vocali di Demetrio Stratos e provocando lo stupore dei presenti. Dopo questo momento topico il colore dello sfondo dell’opera cambia, arriva il verde sullo sfondo del palco(unica parte di scenografia) e il fervore si calma, la prima spirale si chiude e sopraggiunge la voce dolce e malinconica di Jessica Kenney ,accompagnata dal coro e dalle chitarre arpeggiate, sui versi di Marbodo di Rennes. E’ un canto dolce, un richiamo tribale agli astri diurni, in opposto al momento precedente appena finito. A cio’ segue un momento corale che ricorda molto i canti gregoriani: è il coro accompagnato dai fiati che riportano ai testi di Giordano Bruno e si conclude anche il momento del verde con un'altra chiusura a spirale del coro. Sopraggiunge il rosso e di nuovo torna protagonista il coro che canta in latino versi che richiamano l’aria di Giunone, il mare di Nettuno e l’inferno di Plutone e tutti gli esseri viventi legati a questi mondi astrali. Parte il coro maschile e lo sfondo si tinge di viola. E’ un botta e risposta tra gli uomini che pongono domande e la risposta del coro femminile. Durante questi momenti il coro dovrà spesso accordarsi probabilmente anche a causa del poco tempo di prova .Il ritmo incalza grazie al sopraggiungere dei fiati e delle chitarre e ritorna Giordano Bruno a ripetere il “Iunonem aerei, Neptunem mari et Plutonem inferno deos” dei due cantanti e del coro. Arriva il silenzio e il colore arancio, i fiati iniziano una piccola marcia ad aumentare quasi a rincorrersi (con momenti dove la precisione pero’ viene meno)e il coro sopraggiunge a richiamare Giove . Il coro si aquieta e arriva il sitar e l’Inquisitio con Mike Patton che legge i versi e va in falsetto sull’ultimo periodo per poi aumentare fino a una lunga declamazione di vari animali con il coro che risponde e che dà enfasi al momento. Tutto cio’ ricorda molto le preghiere corali cattoliche con sottofondo una musica nuova e di richiami orientali. Torna il verde e il coro femminile apre al cielo nel momento dell’ “Oro te”. La sensazione liturgica è sempre presente . Il tono diventa angelico e entra la bella voce della Kenney ad perseverare nel momento. Si aggiungono i fiati e le chitarre ad accompagnare fino a quando si calma tutto e rimane solo il lieve arpeggio della chitarra. Si sente un lieve suono marino, come dei ciottoli mossi dalle onde del mare e inizia “Athlantis” con i coristi. La sezione degli ottoni smette di suonare in modo standard e inizia solo a soffiare negli strumenti, il coro riparte nel suo vortice di voci e Patton canta i versi latini legati alle aquile riportando al momento precendente della Kinney e ai canti tribali. L’ultimo momento solista dei cantanti è dato dalla Kinney che, in un gioco di scambio dei ruoli rispetto all’inizio del concerto, recita i suoi versi come fece Patton all’inizio, con un tono indemoniato, e suscita lo stesso stupore dell’inizio. Il momento, dopo l’ennesima alzata di tono, si acquieta e parte l’intro di chitarre per il finale del Ministers of Friday dove tutti gli elementi sul palco si ritrovano a concludere l’opera ed è una chiusura veloce, finisce sul “Flaef” e parte un lungo e meritato applauso. Non è stato un concerto perfetto ma assolutamente interessante, con svariati momenti intensi e il coro ha sorretto tutta l’opera. I cantanti solisti hanno stupito e hanno avuto la funzione di sottolineare ogni momento e nonostante i pochi elementi strumentali sul palco dalla semplicità è scaturita ricchezza. Un viaggio mentale e sonoro negli elementi naturali. A fine concerto i due signori sulla settantina che mi erano di fianco hanno sentito di dirmi “questa è la musica di Kandisky e Pollak!” e non posso che dargli ragione.