Sarà la serata tiepida e promettente; o gli ospiti d’onore molto noti sia stasera (Skin) che domani (la Nannini), ma già all’imbrunire lo stadio Comunale di Arezzo si presenta in tutta la sua variopinta operosità, buca brulicante di disparate personalità e varietà umane richiamate e attratte da quell’ aria festosa che ormai qui si respira da quasi una settimana. La dipartita degli olandesi zZz (prima di loro ci avevano provato anche i nostrani Noveorenere a scaldare gli animi dello sparuto pubblico delle 19,30) segna l’entrata nel vivo della serata, per mezzo delle doti chitarristiche del franco-vietnamita N’ Guyen Le, tanto efficace nella tessitura di solide ossature di stampo Hendrixiano, quanto abile nel trasformare il suo eclettismo musicale sicuramente di nicchia in fruibile intrattenimento da stadio. Applausi anche per la sua band, trainata da una suadente ma potente presenza femminile al microfono. Fin qui, tutto a gonfie vele, dunque: risulta infatti entusiasmante l’interazione perfetta che si è instaurata fra palco e pubblico e i prossimi artisti promettono scintille. Eppure l’idillio s’infrange subito dopo la Bandabardò, comunque onesta e musicalmente ineccepibile, alla presentazione dei tanto attesi (perlomeno dal sottoscritto…) Marlene Kuntz: sarà che Godano & Soci non hanno né il fisico né l’attitudine per correre, saltare sul palco ed incitare la folla con anthem di sicuro effetto in rimando al gruppo precedente; sarà che proprio Cristiano non ce lo vedo a scandire “Ber-lu-sco-ni pez-zo di mer-da” innescando un coro da stadio; sarà che il solito drappello di finto-comunisti in disarmo non ce la fa proprio a reggere un testo così poco colorito politicamente quale è quello di “Come Stavamo Ieri”, ma il risultato finale rasenta il disastro. Mai visti così i Marlene in anni di concerti. Ok, scaletta cortissima (7-8 pezzi) ed esecuzione non trascendentale (siamo ancora in slow-version e ciò non aiuta…), ma la gente strabuzza gli occhi già dopo il primo fragoroso muro noise improvvisato in apertura: per me stupendo e ben congegnato, intorno invece avverto solo bisbiglii e sussulti, metto a fuoco ragazzine che si tappano i padiglioni. I Kuntz galvanizzano ancora, a quanto sembra. Ma questi qui proprio non ci stanno, a farsi trasportare: non servono quasi a nulla né “Nuotando nell’Aria”, né “Sonica” (tanto agognata ai loro concerti!) in chiusura. Il prato-platea si scioglie solo all’entrata (scontata) di Skin per “La Canzone che scrivo per Te”, duetto in effetti emozionante. Mezz’ora e cala il sipario. Mi sento strano. La gente invece si sta caricando a più non posso, perché adesso è il turno di Skin. Quando sento un “siete alla frutta” in direzione dei piemontesi intuisco che forse sono proprio i Marlene qui ad essere fuori posto, che questi vogliono solo fare un po’di baldoria, hanno un radicato bisogno di un coglione sfigato qualsiasi che salga sul palco con l’invettiva o il motto di spirito di turno. La buona musica ò fatta di ben altro, invece. A questo punto non si capisce perché, se i Kuntz in questa veste non emozionano più, non si siano esibiti di pomeriggio sullo Psycho Stage, sicuro quadretto intimista più adatto alle loro atmosfere. Invece è arrivato il Main Stage per il duetto con Skin direte voi. Giusto. Infatti quando Godano è salito, Firebird alla mano e tenuta da piccolo Lord, a supportare il set di Skin penso di averlo notato solo io, nonostante le insistenze della telecamera sulla sua figura tarantolata. Brutta esperienza in fin dei conti, immagino si siano sentiti a disagio pure loro. Stesso discorso varrà domani per il buon vecchio Greg Dulli, bistrattato e ignorato colpevolmente da tutti e in misura addirittura maggiore. Ottima invece Skin, bestia da palcoscenico, instancabile e folle intrattenitrice. Due ore buone di delirio e neppure una sbavatura. Checchè se ne dica dell’ultimo album (avrà suonato tre nuove canzoni), il vecchio repertorio ha ancora un tiro considerevole, vera e propria macchina da guerra in grado di risollevare qualsiasi serata. Ma non la mia; che, a birra terminata, si affolla sempre di più di pressanti interrogativi: perché farsi (e farci) del male cosi gratuitamente, caro Cristiano?