Rosolina Mar: Il culto del cavo elettrico…
some fuckin' attitude!

Entrando nel parcheggio dello Zero sono subito colto da una piacevole sensazione: vedo i posti macchina piuttosto pieni, dunque l’affluenza sarà buona. E in effetti, nonostante siano le 23 passate, la gente continua ad arrivare, garantendo un fisiologico riciclo tra gli spettatori accorsi per i Jesus Etc. – che aprono la serata – e quelli in attesa dei Rosolina Mar.
Parlando dei primi, devo ammettere che la proposta non è delle più dinamiche e l’attenzione va scemando, nonostante il volume più che ragguardevole con il quale le note si diffondono nel locale. Penalizzati in parte da un settaggio dei suoni non certo ottimale (le frequenze basse alternano lunghi momenti di assenza ad involontarie esplosioni…) i Jesus Etc. si dimostrano onesti e concreti, ma assai ingessati. Tra l’acidità della Telecaster e quella della Mustang dei due chitarristi, la monocordia del cantato e la scontatezza dei riffs – un po’ di post-punk e new wave revisited in stile ‘90s – e con l’aggiunta di una batteria tanto compressa quanto ovvia, il loro set si consuma.
Pochi minuti di cambio palco ed eccoci ai titolari della cattedra. Per accogliere il pubblico scelgono Protopapetti, impostando così il mood del concerto; la scaletta rovista nelle tasche di ‘Before And After Dinner’, preferendolo al debut, e sicuramente la scelta è alquanto premiante. Un set serrato, bilanciato (anche nei suoni), che si muove con scioltezza tra le fitte trame ritmiche del gruppo. ‘Before And After Dinner’, dicevamo, quindi pezzi piuttosto brevi e asciutti: difficile non godere nel vederli lì, lussuriosi mentre saturano le valvole e palpano i loro strumenti saziando sia mente che corpo. Ma perché i Rosolina Mar sono così convincenti dal vivo? Credo che l’arcano stia nell’attitudine. Non la classica formazione di math-rock che si atteggia, che esige solo lucidità; nemmeno il power trio garage che ti aspetteresti, tutto frontale e grezzo. Tutte e due le cose, ma con una dominante di rock’n’roll nel cuore e una presenza scenica sorprendente. In pochi casi capita di pensare a quanto la scelta della strumentazione sia emblematica, infatti le due diavoletto che s’incrociano, si scontrano, si allontanano e si riassestano sono l’anima dei Rosolina Mar. Le pelli di Andrea Belfi fanno poi il resto, associandolo irresistibilmente a Bonham degli Zeppelin nel gusto contrappuntistico che imprime agli accenti e, soprattutto, nelle aperture più spinte dove si diverte a far tremare a lungo il crash… Lucidità ed enfasi, scioltezza esecutiva inserita in una danza rock dall’afflato quasi teatrale. I due chitarristi non si fermano mai, non smettono mai di cercarsi per imprimersi energia vicendevolmente; il loro suono è vintage, il loro groove anche, ma le idee di scuola contemporanea non mancano di certo e sono tutte qui, in un’ora di show tirato e strattonato. C’è da ringraziarli per non prendersi troppo sul serio, come mi confermano dopo il concerto parlando di strumentazione “Non ci capisco un cazzo… io suono!”.
Ebbene, forse mancava un po’ di questa freschezza ad una scena italiana dove in molti cercano la posa ancor prima di trovare un pubblico… e il risultato spesso è che, oltre agli umori, anche lo stile si appiattisce.
Questo il pubblico lo ha capito, una volta tanto, e urla, si muove (come non farlo sulla cover di Fleshdance?), vive i pezzi per quello che sono, già piccoli grandi classici (su tutti Mingozo Di Mongozo e la conclusiva, simbolica, La Basetta Scolpita Nella Roccia). Un inedito ci chiarisce le idee sul futuro del gruppo, votato alla sintesi e all’eccentrica fruibilità attuale. E’ raro trovare un simile entusiasmo ad un concerto strumentale, come lo è sentire la gente che grida alla fine dei pezzi e invoca invasata il bis; eppure i Rosolina Mar riescono in tutto questo sciorinando un lirismo rock viscerale, senza ammiccamenti, e con una smorfia di piacere stampata sul volto…