Un tranquillo giovedì sera per un tranquillo concerto. Al Transilvania Live (è la prima volta che assisto ad un concerto qui e devo ammettere che si sente meglio che in tanti altri posti più quotati di Milano) la gente non è tantissima e l’età media spinta inesorabilmente verso i trenta. Eppure il gruppo è giovane e ha all’attivo solo un Ep (‘From the cliffs’, intrigante) e un disco (‘Through the windowpane’, non ho avuto il piacere di ascoltarlo ma si dice che sia piuttosto interessante). Il locale non è appunto pieno ma il pubblico resterà soddisfatto e piacevolmente sorpreso.
“Sorpreso”, sì è la parola giusta, perché questi inglesi riescono ad abbracciare con le loro canzoni un ventaglio di possibilità stilistiche incredibilmente vasto: cantautorato, pop, elettronica, indie rock, jazz. Le loro capacità tecniche sono notevoli e sul palco gli strumenti suonati dai sei non sono affatto pochi: chitarre elettriche e acustiche, fiati, contrabbasso, tastiere, batteria e percussioni, armonica a bocca, piccoli aggeggi elettronici, una campana, un triangolo. Il loro più grande pregio è appunto saper giocare con tutte queste cose, dando pochi riferimenti certi all’ascoltatore: i cambi sonori all’interno dello stesso pezzo sono frequenti e spesso sorprendenti. E dal vivo il tutto viene eseguito in maniera perfetta, solare, divertente, senza alcuna sbavatura. Questa grande varietà però è anche il loro limite: l’altra faccia della medaglia rivela a volte una troppa eterogeneità, ed il rischio di perdersi quando ci si muove su un campo di gioco talmente vasto è altissimo: a volte succede, e penso sia accaduto anche in questo concerto, nella mezz’ora finale, in cui ho subito un calo di attenzione. Peccato perché la prima ora è stata molto intensa, divertente e sorprendente. Le “lucertole” sfoderano pezzi da entrambi i loro lavori (Made up lovesong no.43 è un bellissimo pezzo indie pop) e un paio di canzoni nuove davvero pregevoli. Le capacità vocali di Fyfe fanno il resto nel conquistare l’uditorio, ed è stato normale vedere che il finale è tutto dedicato a Blue would still blue cantata in solitudine sul limitare del palco, voce e piccola tastierina, nessuna delle due amplificate. Una grande atmosfera, lui ha dote interpretative non comuni ma ci vuole ben altro per farmi venire il vero “brivido sulla schiena”.
Un concerto però più che piacevole. I Guillemots si non rivelati ragazzi di talento, pieni di eleganza nel comporre, nel vestire e nel suonare dal vivo. Se riescono a limare i piccoli difetti sarà tutto ancora più speciale.
(un grazie a JeffBuck per le foto)