Sparklehorse + Dirty Three: Musica agrodolce per cuori sensibili

Un’accoppiata interessante che da tempo aspettavo di vedere: i Dirty Three di Warren Ellis e gli Sparklehorse di Mark Linkous.
E poi Fennesz.
Apre lui la serata. Però è un antipasto di quelli scarni: una decina di minuti di rumori che non convincono e non trovano uno sfogo verso la compiutezza. Un riscaldamento delle orecchie forse, un warm up per prepararsi ai gruppi seguenti.
E i Dirty Three from Melbourne, Australia, regalano da subito uno spettacolo da leccarsi i baffi. Un Warren Ellis barbuto: un genio, un eroe, uno showman. Jim White alla batteria e Mick Turner alla chitarra rimangono defilati, due musicisti davvero di spessore che con il Bad Seeds hanno un grandissimo affiatamento, ma che preferiscono suonare nella quiete. Sì perché è il violinista che ha il palco tutto per sé, che si muove, si agita, scalcia in continuazione. Da le spalle al pubblico e inizia una lotta contro lo strumento, una danza, un amplesso. I primi pezzi sono davvero intensi, ogni mossa di archetto è in graffio al cuore. Poi tutto si trasforma in un grande spettacolo di rock’n’roll. E tra un pezzo e l’altro tante chiacchiere, lunghissime introduzioni ai pezzi, come partire da lontano con le parole per spiegare una canzone che riesce a rapirti in pochi secondi. Non c’è la quarta parete, la scaletta viene decisa quasi al momento grazie ai consigli e alle proposte del pubblico. Si sospira con la musica e si ride con l’affabilità e la parlantina di Ellis. L’esecuzione di Red e Sky above, sea below sono due capolavori che sarà difficile dimenticare.
Poi, dopo l’antipasto e quel primo piatto così gustoso, ecco il secondo. Mark Linkous vive in un mondo tutto suo, in un “sad & beautiful world”, l’ho sempre detto e vederlo dal vivo l’ha confermato. Saranno le droghe, forse. Il problema è che è stato difficilissimo se non quasi impossibile entrarci, in quel mondo incredibile e bizzarro. Si è potuto solo ammirare dalla soglia mentre si voleva e doveva fare come Alice attraverso lo specchio. Sì perché se Linkous si è dimostrato all’altezza delle aspettative, lui, le sue storie agrodolci, la sua chitarra e la sua voce che entrava in quel microfono pieno di filtri, non si può dire lo stesso dei suoi due musicisti accompagnatori. Una scelta coraggiosa: non utilizzare una band tradizionale (niente batteria né basso), ma ricorrere ad aggeggi, tastiere, laptop della Apple (due), glockenspiel e effettistica varia. Una scelta coraggiosa ma quanto mai azzardata perché per una perfetta resa, per un risultato da togliere il fiato, era necessaria una precisione chirurgica e una perfezione tecnica che spesso è mancata. Peccato. La scaletta era assolutamente perfetta e quanto mai inusuale per un tour: solo un pezzo (Ghost in the sky) tratto dall’ultimo disco, l’apertura (It’s a wondeful life) e la chiusura (Babies on the sun) dal (e del) terzo disco, qualche chicca da ‘Good morning spider’ (Painbirds soprattutto), il resto attinto a piene mani da ‘Vivadixie…’: non riesco a non citare Saturday, la strappalacrime Homecoming queen, Heart of darkness, l’apoteosi di Spirit ditch (con il contributo di Christian Fennesz), Gasoline horseys, Weird sisters. Mancava solo Cow. Bellissimi i filmati proiettati dietro al gruppo, che per tutto il tempo hanno accompagnato l’esibizione. Però un po’ di amaro in bocca anche per la scarsa durata del set degli Sparklehorse (un’ora) ma non riesco a non essere soddisfatto della serata.

Le foto presenti non si riferiscono alla data recensita
Le foto dei Dirty Three sono tratte da: www.concertinalive.it