Ebria Records

Scritto a quattro mani con Daniele Guasco

Chi, che cosa: Ebria Records nasce nel 2003, in provincia tra Milano e Como, da un’idea di quattro persone, legate dall’amicizia e dalla comune passione per la musica.
Perché: nasce dal desiderio di registrare, produrre e diffondere le musiche di ricerca ed esplorare i territori intorno ad esse. Il nostro intento è quello di riuscire a pubblicare materiali nei quali si avverta una particolare attenzione alla ricerca sul suono, anche a prescindere dai diversi generi musicali.
Come: è una no copyright e no profit label. Nel nostro lavoro per l’etichetta investiamo tempo, fatica, etc., ne ricaviamo la possibilità di diffondere e condividere le nostre idee musicali (ma non solo). Non siamo in grado di offrire a chiunque volesse collaborare con noi contratti e/o prospettive di successo o guadagno, etc.
Dal manifesto programmatico pubblicato nel sito www.ebriarecords.com.

Il metodo più veloce per capire i punti di snodo dell’esperienza Ebria è essenziale e senza ombra di dubbio partecipare al BääFest, ovvero la diretta emanazione live del lavoro di questa etichetta di stanza tra Milano e Como. Di fronte all’eventuale impossibilità della cosa (forzata soprattutto, se nel momento in cui si scrive effettivamente del festival ancora non c’è traccia), in prospettiva basterebbe prendere tra le mani il resoconto BääFest: 1stand2ndyeardiary, ovvero il piccolo diario in cd delle edizioni precedenti per trovarsi di fronte l’evidenza: Tasaday, OvO, Pin Pin Sugar, Freetto Mesto, Chuck Norris Zen Solution Ensemble, Zu, Sinistri, I/O, Tanake, IOIOI, Anatrofobia, Allun, Bron y Aur, Ben-za!, Uncode Duello, La Bestia Pensante, One By One We Are All Becoming Shades. Al di là della sterile elencazione nominativa, siamo davanti a praticamente metà (forse meno, ma non è questo l’importante) della scena cosidetta sperimentale in Italia, se non contiamo poi il fatto che Ebria stessa funziona da etichetta presso la quale sono usciti Uncode Duello, I/O ed Echran, da distributore e soprattutto organizzatore di manifestazioni/festival/incontri/concerti, che verranno trattati all’interno di questo articolo. Quello che si vorrebbe dimostrare con questo sproloquio è che effettivamente Ebria rappresenta una sorta di faro, insieme a poche altre etichette italiane, un progetto che è riuscito a crearsi e creare una certa visibilità ad un ambiente musicale che da sempre, per sua volontà e soprattutto per sua stessa natura, è rimasto in ombra. Estetica ImproFreeMinimalCore, ma sguardo rivolto ormai a realtà attigue (ne è la prova la partecipazione di William Parker all’edizione presente del BaaFest), la Ebria nell’arco di pochi anni ha prodotto molte delle sorprese di un mercato che è costretto a trovare vie di fuga all’estero, ha tenuto collaborazioni con le altri grandi perdenti del mercato italiano (Fratto9 Under The Sky che di solito organizza il Tago Fest, Bar La Muerte) e ha sensibilizzato gli ascoltatori verso forme sonore non convenzionali attraverso rassegne curate per lo più dagli stessi musicisti ai quali viene affidata la direzione artistica. Non diamo connotazioni salvifiche all’etichetta, ma è innegabile che il suo contributo alla diffusizione popolare (attenzione) di lavori e artisti impegnati nell’altra faccia della musica sia decisamente alto.

BAA FEST E RA.ME.MU.N.CO

La Ebria si è rivelata in questi anni di attività non solo etichetta capace di scoprire e proporre alcune delle realtà più interessanti e convincenti del panorama musicale sperimentale italiano attraverso i suoi dischi, ma anche organizzatrice di uno dei festival più sorprendenti e stimolanti nello scenario degli eventi musicali estivi italiani: il BääFest.
Attraverso questa manifestazione, che quest’anno intende arrivare alla sua quarta esperienza, la Ebria è infatti riuscita a dare spazio e voce non solo ai gruppi che vanno a comporre il suo catalogo, ma anche ad alcune delle esperienze musicali più sorprendenti ed affascinanti tra quelle che provano ad emergere, o sono già emerse, nel nostro paese, riuscendo a proporre negli anni gruppi già noti come gli Zu o gli Anatrofobia al fianco di nuove entusiasmanti realtà, come gli Airchamber 3 e gli A spirale, ai quali negli ultimi due anni si sono affiancati anche musicisti stranieri del calibro di Damo Suzuki e Wu Fei.
L’importanza di un evento simile risiede però nella possibilità che viene data al pubblico di conoscere questi gruppi e di sentirli senza alcun freno creativo, arrivando così a contatto con coloro che hanno realmente qualcosa di nuovo, insolito e personale da dire con la loro musica.
Per quanto comunque possa tesserne le lodi non ho mai partecipato come pubblico a un BääFest: le parole però di chi vi ha preso parte calcandone il palco non possono che lasciarmi ancora più convinto della sua importanza. “Penso che sia uno dei pochi festival di musica “improvvisata” e “sperimentale” che ci sia in Italia, oltre che l’unico nel suo genere e quindi non esclusivamente dedicato a nomi esteri, etc…anzi spesso la priorità bene o male è andata alle primizie sotto casa. Con gli Airchamber 3 ci abbiamo suonato perchè siamo amici di alcuni della Ebria e credo anche

perchè avendoci visti al Garibaldi gli eravamo piaciuti (almeno lo suppongo). Purtroppo abbiamo suonato in una posizione infame visto che c’erano i mondiali ed era la sera del debutto dell’Italia, con noi c’era poca gente ma dopo la fine delle partite ovviamente si è riempito. Non posso che pensare bene dell’iniziativa, il livello dei gruppi mediamente è elevato, il festival è ben organizzato ed essendo organizzato da gente che suona bene o male ti vengono incontro. So che quest’anno stanno avendo dei problemi a trovare il posto per organizzarlo ma spero che ci riescano dato che uno dei pochi festival che vado a vedere volentieri (…de gustibus).”
. Queste ad esempio sono le esaustive parole di Andrea Ferraris, chitarrista degli alessandrini Airchamber 3; Matteo dei Chuck Norris Zen Solution: “ BääFest è un’iniziativa lodevole e importante per una certa scena italiana, trasversale e troppo rumorosa per i circuiti dei locali. Un’occasione importante per scontrarsi con muri di produzioni mal o del tutto non distribuite e per avere il piacere di scoprirsi persone vere, per socializzare. Ammetto di essere tuttora stupito per la grande attenzione con cui vengono selezionati i gruppi, non solo tra i più visibili sulle riviste ma anche tra quelli più nascosti. Parallelamente all’ottimo lavoro fatto con Ebria, credo ci sia solo da lanciarsi in lodi sperticate. Speriamo che le loro iniziative proseguano ancora a lungo!”. Un’altra possibilità che mi viene data di avvicinarmi meglio all’attività del BääFest mi viene data dall’ottima compilation che raccoglie le testimonianze dei gruppi intervenuti nelle prime due edizioni del festival. Tra inediti e registrazioni live il piccolo cd giallo che s’introduce nello stereo riesce ad essere fragorosa testimonianza di molte tra le più interessanti proposte musicali sperimentali italiane, evidenziando sia le proposte più rumorose e soniche, che quelle più tranquille e rilassate.
Più che di un semplice disco si tratta di un vero e proprio documento, un riassunto ad uso e consumo dell’ascoltatore, il quale si trova così faccia a faccia con le irruenze espressive di questi artisti, risultati creativi che difficilmente possono lasciare impassibile l’ascoltatore attento. Vere e proprie delizie le registrazioni live di gruppi già ben conosciuti come Zu, Uncode Duello e Anatrofobia, si accompagnano a scoperte veramente sorprendenti come il groove irresistibile del jazz dei Freeto Meesto, o il calore oscuro delle note dei Ben-za!.
Il BääFest risulta quindi essere non solo un’ottima proposta di musica dal vivo, ma anche un’inestimabile risorsa per scoprire entusiasmanti artisti italiani che difficilmente trovano spazio nei normali canali di informazione, una ricchezza unica da sfruttare e coltivare allo stesso momento.

Quest’anno la manifestazione si sposta all’Ortosonico di Pavia, il 7 e l’8 di luglio, e vedrà avvicendarsi sul palco artisti del calibro dell’americano William Parker e del neozelandese Dean Roberts, senza contare le ottime proposte italiane in programma quali ad esempio I/O, Nicola Ratti e Andrea Belfi, il tutto a testimoniare una scelta di campo che dopo due anni si allontana gradualmente dalle pulsazioni minimaliste care all’etichetta.

Le proposte live della Ebria non si fermano però al solo appuntamento annuale del BääFest; altra interessantissima iniziativa è Ra.me.mu.n.co. (sigla di Rassegna mensile musicale non convenzionale), una serie di concerti che si svolgono settimanalmente nell’arco di un mese organizzati con la complicità di Mondovisione soc.coop., manifestazione capace anch’essa di approfondire o far conoscere alcune delle migliori realtà musicali italiane odierne.
La particolarità che rende speciale Ra.me.mu.n.co. risiede invece nella sua organizzazione, affidata di volta in volta alle cure di artisti selezionati dalla Ebria, che, oltre ad esibirsi, sceglieranno gli altri musicisti che prenderanno parte alle serate.
Attraverso questo sistema personaggi di spicco del panorama indipendente italiano come Bruno Dorella (Bar La Muerte, Ovo, Ronin, Bachi Da Pietra…), Mirko Spino (Wallace Records) o Andrea Marutti (Afe, Amon…) possono far sentire attraverso un filo unico che collega quattro concerti, quello che secondo loro meglio rappresenta le migliori idee che circolavano nel nostro paese a cavallo tra il 2005 e il 2006.
Ra.me.mu.n.co. rappresenta sicuramente un’altra lodevole iniziativa dei ragazzi della Ebria, capaci di non limitarsi unicamente alle sole uscite discografiche nel dare voce alle migliori proposte musicali sperimentali italiane.

I DISCHI

I/O
Nella coraggiosa proposta discografica delle Ebria, una scommessa sicuramente vinta è quella che puntava sugli I/O, quartetto dedito all’improvvisazione minimalista capace di dare alle stampe nel giro di quattro anni due album tanto diversi quanto interessanti.
L’esordio omonimo, pubblicato nel 2003, è un disco ruvido, spigoloso, le intuizioni degli I/O si muovono su terreni acidi e brulli, dando però alla musica una fortissima personalità. Il quartetto chiarisce sempre come all’interno dei loro dischi non siano presenti sovra-incisioni, per catturare al meglio il flusso creativo in vista di una decostruzione della “forma sonora”. Nel loro primo album la ricerca su armonia e contrasto nel rapporto tra i suoni è perfettamente riuscita, le conclusioni cui arrivano sanno essere tanto stupefacenti quanto trascinanti per l’ascoltatore.
L’unico difetto di questo primo disco sta però nel suo essere un “prodotto di nicchia”, una musica non certo accessibile a chiunque, problema risolto con il recentissimo ‘Polytone’ Il secondo album degli I/O riesce infatti a raccogliere il flusso creativo -il pulsare- della band in maniera più completa dando vita a un risultato veramente unico. Le tracce che lo compongono diventano più coinvolgenti grazie ad una sorprendente vitalità, al perfetto alternarsi di luci ed ombre. ‘Polytone’ è un lavoro semplicemente emozionante, un’improvvisazione perfetta, trascinante per l’ascoltatore che viene totalmente coinvolto. Grazie a questo lavoro gli I/O si impongono come una delle realtà più affascinanti e particolari del panorama musicale sperimentale italiano, una proposta intelligente e piena di spunti, da seguire con attenzione e stupore.

NIPPON & THE SYMBOL
Con il progetto Nippon & the symbol scendono in campo mettendosi in gioco i responsabili stessi dell’etichetta (Accursio Graffeo alla chitarra e Andrea Reali alla voce), dando vita insieme ad altri musicisti a un ben riuscito connubio tra musica, letteratura e teatro. All’interno di ‘Universobangorfeo’, infatti, si supera il reading per arrivare a una recitazione vera e propria di brani di Calvino, Campana e Buzzati, il tutto adagiato su un tappeto di suoni tra il jazz, l’improvvisazione e la sperimentazione.
Nonostante si tratti di un progetto legato principalmente alla performance live, il disco dei Nippon & the sybol si rivela un ascolto interessante, capace di dare il giusto peso sia alle parole, alle storie raccontate, che alla musica capace di veicolare l’attenzione sui punti focali dei brani, risultato di un connubio ben riuscito sia tra i musicisti che tra le diverse forme artistiche messe in campo.

ECHRAN
Fabio Volpi e Davide Del Col, rispettivamente Otolab e Ornaments, una lunga sfilza di collaborazioni e agitazioni nei luoghi del dark ambient e della sperimentazione audio-visual, una collaborazione Ebria e Small Voices (che tra Z’Ev e Kinetix e Maurizio Bianchi la dice lunga..) e a detta di molti un disco che è per lo più LA sorpresa italiana del 2005. Dalle parti di un’elettronica appestata e malata il disco di Echran si muove poi verso scenari dissociati che hanno del magnifico: la loro è una ricerca dell’ossessione richiamata da decine di loop seriali che scandiscono un passo tanto marziale quanto crepuscolare, un suono dilatato e folle che affonda le radici tanto nell’estetica e della paranoia della filmografia di Tarkovskj (per non citare certi Suicide nella scarnificazione ossessiva dei ritmi) quanto nelle microimplosioni technoidi e lisergiche dei Pan Sonic mentre una voce recitante in francese rielabora la percezione del disco, donando al tutto un distacco necessario e disumano, pura descrizione dello stesso al di là dell’effettivo inserimento nell’impianto (a)melodico. Una meraviglia.

IOIOI
Il suono dell’immobilità. Musica che non vuol dire un cazzo e neanche lo deve dire, musica per musica che finisce in musica come un grande discorso sul niente e senza alcuna via d’uscita. Un suono che parte già schiantandosi, senza nessun possibilità; la gioia innocente della partenza a razzo, a cazzo. IOIOI sembra non porsi nessuna meta, anzi celebra l’autismo più assoluto. Nella sua citazione del film di Kurasawa (“Bright Future”), alla domanda “andare o attendere” Cristina Fraticella risponde che probabilmente si può partire alla ricerca di qualcosa (e quindi attendere) o si può attendere di partire. Ed è tutta nel pezzo che dà il nome al disco l’estetica di un suono che non si alza mai da terra, tantomeno esce mai dal limbo. Nel mezzo: nervosismi di chitarra, grandi schianti di percussioni, Giappone, funk strozzati e una voce distrutta, devastata, scomposta (e anche qualche bel momento di bruttezza prepotente). “Il futuro è un gioco, si è qui in queste condizioni, non si sceglie nulla, si può solo giocare come un bambino.”

OVO
Informazioni sugli Ovo potete trovarne ‘qui’ che ‘qui’

www.ebriarecords.com