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‘Conqueror’ è esattamente ciò che ci si aspettava dopo ‘Silver’: ‘Silver’ lungo il doppio, con un po’ più di profondità. Justin Broaderick si adagia su un lento shoegaze perennemente intontito e sognante, con chitarrone che delle bordate distorte del passato conservano ben poco e con le linee vocali vicine all’autismo cui ci ha abituato sin dall’esordio. Insomma la monumentalità soffocante di una “Friends Are Evil” non la si trova più, e lo annunciano allegri gli urletti “aha-aha-aha-aha” con cui si apre il disco, roba che davvero neanche i My Bloody Valentine. Meno bassi e meno rumorismo, più synth e più ariosità, meno oppressione e più melodia, sembra essere questa la direzione scelta dagli Jesu (o da Jesu? Mi trovo in difficoltà, ma metterlo al singolare mi sa troppo di kritika-ke-konta, quindi evito). ‘Silver’ era piacevole per due tracce su quattro, risultando piuttosto inconcludente per la restante metà. Qui siamo davanti più o meno agli stessi problemi, seppur applicati al formato del full lenght: delle tracce molto belle, su tutte “Brighteyes” con le sue melodie azzeccate e “Mother Earth” che azzarda qualcosina di nuovo a livello di suoni, e tracce un po’ troppo svuotate e anonime, come “Old Year” o “Medicine”. E si sa che in un disco di questo tipo metterci dentro qualche traccia sbagliata è un ottimo modo per innalzare all’istante i livelli di noia oltre la soglia di guardia. Ed è un peccato, perchè da come li avevamo lasciati le premesse c’erano tutte per uno sfacelo completo, mentre invece ci si trova di fronte ad un lavoro che – per quanto riciclatissimo e autoreferenziale – riesce a risplendere per oltre metà della sua durata. E in effetti, riguardando il curriculum del signor Broaderick, neanche me la sento di rimproverarlo. Dopo tutto quello che ha dato, avrà almeno il suo meritato diritto a fare dischi non proprio perfetti, direi.