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Che bello ragazzi, in un periodo – il nostro – nel quale il rock & roll (quello duro e cazzuto, semplice e di impatto) sembra essere completamente sparito, trovarsi ad ascoltare un album come questo è un toccasana non da poco. Non voglio inoltrarmi in tecnicismi e discorsi simili: Jack e Meg fanno del sano e sfottuto Rock con R maiuscola e questo è ciò che conta. Sanno far salire l’adrenalina come pochi, Jack sa scrivere riff assassini che restano in mente dopo il primo ascolto. Inoltre sono cattivi, sporchi e malandati al punto giusto. ‘Icky Thump’ come avrete ben capito mi ha esaltato, e lo ha fatto perché ha tutti gli elementi che ho elencato sopra con in più qualche piccola novità. Come sempre i nostri pescano a piene mani dal patrimonio USA, dal blues, dal rock di New York e Detroit, dal country e dal roots e lo fanno senza mai scimmiottare nessuno. Si ispirano ma non copiano, perché Jack e Meg hanno ormai un loro sound inconfondibile e ben collaudato. Mi sento di poter affermare che questa loro ultima fatica discografica è senza dubbio uno dei loro lavori meglio riusciti, a tatti esaltante come per la title track – un hard rock devastante con semi falsetto quasi rappato, riff micidiali, ripartenze continue e un inaspettato e gradevole assolo di tastiera molto psichedelico. Brano davvero grandioso! Tra le cose migliori del disco c’è sicuramente anche “300 M.P.H. Torrential Outpour Blues”, una semi ballata garage con parti acustiche intervallate da veri terremoti elettrici. “Prickly Thorn, But Sweetly Worm” (notate i titoli lunghi e intricati) inizia col mandolino che fa da sottofondo assieme ai tamburelli ad una incredibile nenia con tanto di cornamusa! Le stesse cornamuse che aprono “St. Andrew (This battle is in the Air)” brano stranissimo ma gradevole. “Little Cream Soda” è invece un bel hard rock di quelli tosti e sgangherati che precede la blueseggiante “Rag & Bone” altra grande scarica di violenza e adrenalina, secca minimalista e devastante come deve essere. Ma forse il brano migliore dell’intero album è “Conquest”: si apre con squillo di trombe dalle atmosfere messicane e si sviluppa in una ballata in bilico tra hard rock, suoni orientali e sapori latini, un lamento avvolgente con le chitarre distorte che si intervallano alla tromba, un gioiellino assoluto per fantasia e tiro (un po’ mi ricorda qualcosa dei Melvins tanto per farvi capire quanto sia assurda e geniale). E che dire poi di “Catch Hell blues” ? Vero delta blues molto in stile Fat Possum, duro, scassato, sporco e polveroso, semplicemente bellissimo! Come bellissima è la conclusiva ballad “Effect & Cause”, suoni metallici e ridotti all’osso, solita atmosfera sgangherata tra rock e blues che ti conquista subito.
Ormai se non erro questo è il sesto album degli White Stripes, per cui se all’inizio si poteva pensare ad un fenomeno passeggero ora anche questa tesi cade e bisogna ammettere che i nostri sono senza dubbio la migliore realtà rock degli anni 2000 e pazienza se Totti canta “popopo”: questi due ragazzi hanno le palle quadrate come pochi e non perdono occasione per dimostrarlo!