Tago fest: Tago fest 3 – Giorno 3

Sotto un caldissimo sole di inizio luglio si rilassano verso l’una di pomeriggio quei discografici e quei musicisti che non hanno osato sfidare la domenica delle spiagge della Versilia. L’atmosfera che trovo entrando al Tago Mago di Marina di Massa è evidentemente subito rilassata e amichevole, la chiacchiera è facile davanti al pranzo e ai primi bicchieri di birra e cynarotto (il cocktail dell’estate by Bruno Dorella, Cynar e chinotto). Il tempo scorre veloce fino all’inizio dei concerti tra un giro di banchetti e qualche parola con persone che non si vedono da parecchio. La partenza di questa terza giornata è di quelle con lo sprint, i Camillas sono una graditissima sopresa. Il duo si muove tra chitarre e tastiere in un’esibizione in cui sembrano due simpatici zii che intrattengono il parentame dopo un pranzo di Natale. La risata è facile e le canzoni sono pure molto carine, sia quando denunciano un imperante fastidio, sia quando parlano di malinconiche trasformazioni in pandoro. Una bellissima sorpresa. Ottimo anche il live di Mr.Henry, in procinto di partire con un tour negli Stati Uniti questo settembre, il one-man-band di Varese propone la sua miscela tra blues rumoroso e potente e momenti di fine malinconia straziata. Se la sua voce è bella su disco dal vivo è anche meglio, accompagnata poi da un grande talento nel tenere il palco. Nonostante gli iniziali problemi tecnici i genovesi Japanese Gum realizzano il loro solito buon concerto. Elettronica sognante e sporadici nervosismi rumorosi, il tutto per una buona mezz’ora di ottime sonorità che vanno prendendo una forma sempre più ben delineate. A furia di leggere in giro per le rete e sulle riviste fiumi di parole sui giovanissimi My Awesome Mixtape devo essere sincero che mi aspettavo qualcosa in più da loro. I ragazzi sanno suonare, questo è innegabile, così come bisogna riconoscere che la proposta è interessante dal punto di vista musicale, unendo elettronica, tastiere, chitarra acustica e tromba, ma le canzoni mi sono sembrate ancora troppo acerbe, troppo poco orecchiabili e capaci di colpire realmente la mia attenzione, pur gettando le basi per un progetto che potrebbe dare ottimi frutti in futuro. Dopo questi primi quattro gruppi, proposte valide e dall’ascolto abbastanza facile, la programmazione del festival si fa più tosta. I due Kankkarankkat distruggono letteralmente la loro strumentazione in vista di un rumorismo ossessivo e delirante, il quale però perde il mio interesse dopo non molto tempo. Il problema è che dopo una decina di minuti di concerto ho iniziato a chiedermi dove volessero arrivare con la loro musica. Più convincenti, anzi molto positivi, i concerti di Larsen Lombriki e Be invisble now. I primi mettono in campo la loro lunga esperienza musicale componendo un live fresco, caratterizzato sia da una inaspettata vitalità sonora che da un’interessante sperimentazione del suono. L’esibizione di Be invisible Now invece si muove tra onde sonore e sporadiche melodie, dando però il senso di una linea unica, funestata da cambi improvvisi ma comunque dotata di un suo inizio e di una sua conclusione; un ascolto non certo facile, ma affascinante e carico di spunti interessanti. Alla fine dei conti devo ammettere che ormai sono un fanboy dei veronesi Afraid!, ma se anche loro, pur interrompendo il concerto per la rottura di una corda del basso, pur denunciando apertamente una condizione psicologica non proprio favorevole all’esibizione, regalano una delle migliori esibizioni della giornata, cosa ci posso fare io? Un vero e proprio muro sonoro gettato sul pubblico mattone a mattone, un’energia senza limiti, il tutto votato al loro entusiasmante hard-core (o screamo o chiamatelo come vi pare). Nonostante la breve durata dell’esibizione l’ennesima conferma del loro valore. Causa cena ho ascoltato un po’ distrattamente il connubio tra Littlebrown e Pentolino, lo-fi chitarristico strisciante che però mi ha lasciato un po’ indifferente, ma do principalmente la colpa alla fame che mi attanagliava. Semplicemente entusiasmante invece il live 8-bit di Pira666 e Mat64, basi tiratissime e potenti e bellissime proiezioni modificate sul palco tramite un pad, tra reminiscenze da commodore 64 e amiga (ammetto la lacrimuccia con Maniac mansion e The last ninja 2) e improbabili action movie orientali. Stuzzicando il piccolo nerd dentro di me hanno anche fatto ballare, veramente una valida proposta live. Altrettanto buona e divertente l’esibizione degli a Jealousy party, bravissimi nel tenere il palco e autori di una musica tanto squinternata nell’uso dei fiati quanto gradevole nella sua carica espressiva. Follia e rumore, tra la classicità e la modernità, il loro concerto è piacevole e delirante. I Violent Breakfast sono invece definibili in una parola: tonanti. Screamo energico, ben suonato e ben proposto sul palco, capace di contagiare e coinvolgere sin dal primo momento il pubblico grazie anche all’immersione totale del gruppo nella sua stessa musica. Forza ed equilibrio vengono mosse da un meccanismo che appare subito ben oliato e funzionante. Veramente notevoli. Devo ricredermi totalmente sui Tiger! Shit! Tiger! Tiger!, li avevo sentiti suonare a inizio 2007 a Genova e non mi erano piaciuti per niente. Al Tago fest invece dimostrano di avere fatto in sei mesi passi da gigante. Il trio di Foligno è migliorato in maniera spiazzante, rendendo il suo rock più ruvido, ma allo stesso tempo più incisivo, preciso e trascinante. Una sorpresa che mi ha lasciato a bocca aperta, e a questo punto, anche la curiosità di sentire il loro imminente esordio discografico. Purtroppo mi tocca perdermi gli ultimi due artisti in programma, i milanesi Fuzz orchestra (che avrei sentito molto volentieri oltretutto) e l’americano Ghost to Falco a causa dell’ora e della sveglia alle 7 del mattino. Resta un senso di appagamento uscendo dal Tago fest, la sensazione di avere partecipato a qualcosa di bello, di importante. Questo perché il Tago fest rappresenta un vero e proprio punto di aggregazione (o sarebbe meglio dire auto-aggregazione) per quella musica indipendente italiana che lavora più o meno nell’ombra durante il resto dell’anno. Un punto d’incontro libero da qualsiasi ipocrisia, dove si incontrano anche etichette e musicisti slegati alla programmazione del festival e dove più che altro vedi una incredibile partecipazione, collaborazione, solidarietà, rispetto e ammirazione per i traguardi. Allo stesso tempo un evento simile permette anche di conoscere realtà interessanti, entrandoci personalmente in contatto, non solo ascoltando anche tantissima buona musica (che comunque resta il punto centrale del festival). All’anno prossimo.

Foto a cura di Anna Positano