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Era più o meno in secondo liceo che toglievo tutti i libri di matematica e italiano dallo zaino, ci infilavo con somma devozione i manuali di Dungeons&Dragons e mi facevo tre chilometri a piedi fino a casa di qualche amico per perdere ore e ore a lanciare dadi, bere birra alle sei del pomeriggio perchè faceva un sacco figo, sparare idiozie e infilare nello stereo quei due-tre cd con sopra quelle poche canzoni che riuscivo a scaricare col 56k, la sera, da Napster (ricordate Napster?), due-tre cd pieni di metal becero e sinfonico, tra Freedom Call e Rhapsody, Symphony X e ovviamente Blind Guardian. E qualche mese dopo, forse la prima volta che entravo in un negozio di dischi con un minimo di cognizione di causa, mi trovai sotto le mani un disco appena uscito, dal titolo ‘A Night at the Opera’, e fu – rivelazione scottante – il mio primo acquisto ragionato di un disco.
Fa strano pensare che da quel giorno siano passati cinque anni, e che per cinque anni i Blind Guardian non abbiano fatto uscire altro, in un silenzio che dopo quell’album sovraccarico e barocco poteva far pensare ad un’uscita di scena più o meno imminente. E invece no, dopo cinque anni di travagli, di probabili dubbi e incertezze sulla direzione da prendere dopo aver scritto pagine fondamentali nella storia del metal con buona parte della loro varia e imprescindibile discografia, ecco che ci sparano a sorpresa, anticipato da un singolo spiazzante, un nuovo disco. Thomen Stauch se n’è andato, e indubbiamente la dipartita di un batterista così legato all’anima del gruppo si sente; tra l’altro fa un po’ ridere che se ne sia andato a mettere su un altro gruppo (Savage Circus) per fare più o meno la stessa cosa che si sarebbe ritrovato a fare su questo ‘A Twist in the Myth’. Misteri del power metal.
Com’è il disco? Non è né il nuovo ‘Nightfall in Middle Earth’, né ‘A Night in the Opera’ parte seconda, né un altro ‘Imaginations from the Other Side’. E’ metal, un metal tra il power e l’heavy, molto curato e di gran classe, canzoni orecchiabili e piuttosto immediate – rispetto a ciò che ci si aspetta da loro, ovvio – zeppo dei loro classici lead armonizzati, dei riff pizzicati e dei cori epici e mai scontati cui siamo abituati da più di dieci anni. Si parlava, in fase di mixaggio, di spunti moderni ed elettronici, ma sono davvero minimi, e menomale. Quel “Fly” proposto come singolo risulta alla fine essere il brano più eclettico del disco, e non è neanche malaccio, ma in effetti le canzoni migliori sono quelle più classiche e tipicamente Blind Guardian, come il godurioso trittico iniziale o le più dirette “Another Stranger Me” e “Straight Through the Mirror”; ovviamente – e senza alcun rimpianto – niente di nuovo. Peccato che a parte la ballatona acustica “Skalds and Shadows” i pezzi lenti siano un po’ anonimi e che il disco finisca un po’ scivolando nel noioso, ma si sorvola volentieri, davvero. E allo stesso modo penso che nessuno pretenda nulla di nuovo da gruppi di questo calibro, bastano una manciata di canzoni belle e non troppo palesemente ripescate, per far felici noi giocherelloni mai cresciuti oltre ai nuovi quindicenni sbarbatelli e un po’ asociali pronti a consumare dischi come questo mentre leggono Tolkien. Candidato a disco-con-cui-svociarsi-in-macchina del mese, ma capisco che è tutta una questione d’affetto.