Vintersorg – Solens Rötter

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Ci ho sempre sperato, in questo disco, e vederselo sotto il naso così all’improvviso è una sorpresa di quelle veramente da sorriso-idiota-da-tuffo-nel-passato. Un passato fatto, per il signor Andreas Hedlund , di un personalissimo folk-metal dai toni epici e piuttosto innovativi, un passato sempre un po’ trascorso all’ombra di formazioni ben più blasonate (formazioni che spesso e volentieri lo hanno visto e lo vedono protagonista come cantante, tanto per dire: Borknagar), un passato agli inizi molto promettente ma pian piano sfociato in un vicolo apparentemente senza uscita. Dopo i primi energici e ispirati lavori si cominciava a ritenerlo perso in una parabola discendente, arenato su un prog metal dalle tinte spacey che poco diceva se non per alcune rare canzoni davvero azzeccate e per la collaborazione dei soliti nomi di spicco. Non c’era molto da sperare dopo un’uscita fiacchissima come ‘The Focusing Blur’, invece dopo aver registrato le linee vocali per ‘Origin’ dei suddetti Borknagar (e probabilmente influenzato dal loro ritorno alle radici del folk nordico) il signorino torna a mettere le dieresi nei titoli dei dischi – pare a questo punto sia un buon segno – e compie una mirabolante rivoluzione nella propria musica. Si torna alle atmosfere dei primi dischi, si torna alla propria lingua madre, mantenendo le venature prog-metal e qualche moderata velleità sperimentale. Si recupera una buona dose di aggressività ma i suoni sono limpidi e profondi, niente sfumature lo-fi da black metal cantinaro. E probabilmente siamo davanti al suo miglior disco da nove anni a questa parte, da quel ‘Till Fjälls’ (aveva le dieresi anche lui!) che aveva nel suo piccolo riscosso un notevole successo.
La prima traccia è tra le tre canzoni più belle di tutta la sua produzione: complessa e spiazzante, tra aperture folk e ritmiche metal di gran classe, sembra davvero di fare un salto nel passato, anche se i suoni sono modernissimi. Certo, stupisce che con l’abbondanza di batteristi metal in Svezia qui sia usata una drum machine. Questioni di tempi, dice lui, ma in fondo cosa importa, un po’ di artrosi ritmica è un difetto minimo in un disco così semplicemente ben fatto, vario e sincero. Graditissimo ritorno, nel vero senso della parola.