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Oh mio Dio! Questa è la prima frase che è uscita dalla mia bocca dopo l’ascolto di ‘Bad Blood City – The Piety Street Sessions’, nuovo strabiliante album di quell’autentico fenomeno che corrisponde al nome James Blood Ulmer. Personaggio che non tutti però forse conoscono, per cui ecco qualche breve riga di presentazione: classe 1942, il nostro esordisce (come solista) nella seconda metà degli anni 70. All’epoca suonava perlopiù una sorta di free jazz schizzato di influenze funky. Dopo alcuni album di ottimo valore come ‘Tales Of The Captain Black’ e ‘Odissey’ (solo per citarne due ma vi assicuro che quasi tutta la sua discografia è di valore assoluto) nel 1989 James riscopre le sue radici blues (egli è originario infatti del South Carolina) e la musica del diavolo diventa una compagna fissa nella sua vita musicale. Arriviamo così ad oggi ed a questo ‘Bad Blood City’ che altro non è che un album dedicato alla tragedia di New Orleans. Ad accompagnare il nostro c’è la sua fedele Memphis Blood Blues band composta dal produttore e chitarrista Vernon Reid, David Barns all’armonica, Aubrey Dayle alle percussioni, Charlie Burnham al fiddle e mandolino e Leon Gruenbaum alle tastiere. L’album è composto da un mix di brani composti da JB proprio nei giorni del disastro e da una serie di cover di grandi maestri del blues. Come è nel suo stile Ulmer non le manda certo a dire e spara a zero su politici e politicanti dando vita ad un album che, oltre ad essere assolutamente splendido, è anche molto impegnato. Il blues con lui ritorna a quelle che sono state le sue origini, una musica di protesta, il lamento di una popolazione, quella nera, emarginata e maltrattata; vedendo le immagini della devastazione di Katrina con migliaia di uomini e donne, tutti di colore, rimasti senza nulla ci si accorge come forse anche oggi le cose non siano cambiate poi più di tanto. Questo il nostro lo ha ben chiaro e con ‘Bad Blood..’ lo urla al mondo intero. L’album si apre con “Survivors of The Hurricane” un favoloso funky dove si sente tutta la mano del produttore Vernon Reid (chi ha amato i Living Colour non potrà non sentire delle somiglianze). JB canta con voce roca e tagliente superbamente accompagnato della chitarra di Reid che graffia come non mai mentre l’armonica lancia il suo lamento. Inizio migliore è davvero difficile da immaginare. “Sad Days, LOnely Night” fa pare del repertorio del mai dimenticato Junior Kimbrough, Ulmer canta come se tutta la devastazione provocata dall’uragano fosse concentrata nella sua voce, così roca, graffiante quasi spaventosa; il ritmo martellante ed ossessivo della band sostiene questo sconvolgente grido di dolore che è un pugno diretto nello stomaco. “Katrina” è uno slow blues di denuncia come da tempo non ne sentivo, la voce filtrata di JB canta l’ipocrisia e l’indifferenza dei potenti nei confronti della povera gente di New Orlenas in un continuo crescendo di suoni con l’armonica le tastiere a dettare il ritmo. La successiva “Let’s Talk About Jesus” ha il ritmo indiavolato tra funky blues e rock, con le tastiere in grande evidenza e la voce di Ulmer doppiata da una efficacissima seconda ugola femminile (Irene Datcher) mentre l’armonica prolunga ed accentua la preghiera del nostro. “This Land Is No One’s Land” arriva dalla penna magica del grandissimo John Lee Hooker – uno che come sappiamo non ci è mai andato leggero quando c’era da fare brani di denuncia. Ulmer non snatura il boogie di John Lee ,che è sempre lì’ ma ci mette del suo e il risultato è strepitoso. “Dead President” è un classicissimo Chicago Blues a firma Wille Dixon con l’armonica assoluta protagonista. Si prosegue con “Commit A Crime” di Howlin Wolf. Ancora una volta la voce di Ulmer si trasforma e diventa luciferina come non mai, grida, sbraita sorretta da chitarre superdistorte e dalle incessanti percussioni. “Grinnin In Your Face” è una brano in stile anni Venti dove mandolino fiddle e armonica danno vita ad un tappeto sonoro malinconico e suggestivo sul quale il vocione del Leader scivola via lentamente. Arriviamo così ad uno dei momenti più alti dell’intero album: “There Is Power In The Blues” un blues rockeggiante e travolgente di quelli che graffiano e colpiscono lasciandoti senza fiato. Che dire poi di “Backwater Blues” della regina Bessie Smith? Questa canzone ha ormai ottanta anni ma pensate che il testo parla di alluvioni, di quelle terribili esondazioni del Mississippi che allora ogni anno provocavano centinaia se non migliaia di morti. Direi che non ci poteva essere brano più adatto. L’album si chiude con “Old Slave Master” un bluesone di stampo classico dotato di un ritmo travolgente con armonica e clarinetto che si inseguono su un tappeto di tastiere preparando la strada ai funambolici assoli di Reid con la sua chitarra sempre più assurdamente, ma efficacemente, distorta. Si chiude così uno dei dischi più belli da me ascoltati negli ultimi anni, un album al tempo stesso tradizionale e innovativo. ‘Bad Blood..’ è incredibilmente vario, in esso coinvolgono il blues, il funky e il rock in un mix davvero esplosivo. Sia quando pesta sull’acceleratore sia quando si concede pause riflessive JB Ulmer sa davvero incantare l’ascoltatore. E poi ci sono i testi, per una volta assoluti protagonisti per un disco tanto bello quanto impegnato: sicuramente un must.