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Mi pare giunto il caso di smetterla di cominciare l’ennesima recensione sugli Ulver con la frase di rito “Partiti da origini raw black metal e passando per…”: basta. Basta con questo puntare sull’eclettismo e sul “fantastico! Dalla merda registrata in cantina di Garm alle rivisitazioni trip-hop di Blake fino alla techno, che forti li Ulver”, basta davvero. E’ chiaro: Garm è eclettico, ma manco troppo, alla fine ha solo il garbo e la necessaria riservatezza capaci di tramutare i suoi ghiribizzi estetico-musicali in lussuosi concentrati di Musica con la M maiuscola, per tutti gli intellettual-metallari molto annoiati dall’ennesimo disco dei loro idoli adolescenziali ed in cerca di qualcosa di sì, nuovo, ma anche un minimo brandizzato e marchiato con l’approvazione di centinaia dei propri simili, da mettere in sottofondo mentre tocca scoparsi la brufolosa emo-gotica di turno – perché sì, ciò che è cambiato dei metallari è che ora hanno le emo-gotiche da scoparsi, e questo in parte li ha resi vulnerabili, ma lì capisco, mettere i Sodom mentre fai zubizubi nel letto è solo da veri brutal. Chiusa parentesi, torniamo ai Lupi; ultimamente la suddetta aura di intoccabilità il nostro baffuto amico l’ha quasi del tutto persa, dopo esser cascato su un paio di uscite non esattamente riuscite (Head Control System, per dire, nonché il precedente ‘Blood Inside’), e si ritrovi ora a dover fare i conti con un enorme carico di aspettative che inseguono sbavanti le cinque lettere di questa evocativa ed imprescindibile entità artistica. Poniamo ora conto, al fine di analizzare con coscienziosità questa uscita, di dividere la carriera di quelli che sono stati gli Ulver dall’ep ‘Metamorphosis’ del 1999 in poi e trattarli come una band ben distinta da quella delle uscite precedenti: di metal non c’è più traccia, di folk neanche, lo scheletro è l’elettronica e il cuore è la voce di Garm; ancora la direzione non è ben chiara e si passa improvvisamente da acerbe casse drittissime sporcate di drum’n’bass acida a lunghe e a tratti prolisse suite ambient, spesso comunque capaci di trasmettere un’urgenza espressiva non comune, ed è questa urgenza, probabilmente, ciò che molti hanno visto e amato nelle uscite successive: gli Ulver sempre un passo avanti, gli Ulver sempre lanciati in una necessità di esprimersi che rendeva sorvolabile quel costante sapore di approssimazione, la novità spiazzante che giustificava un minimo di banalità; fino a ‘Perdition City’, un momento di stabilità e un picco di grazia compositiva, per poi lanciarsi giù verso tinte liriche e barocche sfociate nel sovraccarico al limite dell’ingestibilità, fino alla probabile presa di coscienza, tragica e grigia, di essere vicini al tramonto, circondati dalle lunghe ombre scheletriche che potreste anche leggere come: “non sappiamo più bene cosa fare ma soprattutto non ci va più di azzardarci a farlo.” E nasce ‘Shadows of the Sun’, un sommesso lamento, un rifugiarsi in otto anni di ricerca rivisitando le sonorità esplorate in chiave soffusa, mesta, accennata, quasi astratta, buttandoci in mezzo un Fennesz totalmente inutile, una cover dei Black Sabbath ben confezionata che risulta una delle poche scintille alle quali anni fa si era abituati ascoltando un loro disco, un paio di tracce piacevoli annacquate in uno stancante e funereo – Funebre, anzi – e asfissiante brodino di spunti inconcludenti. A me Garm fa sempre piangere, lo ammetto, ma stavolta riesce a darmi il tempo di andarmi a prendere i fazzoletti, scendere a comprare i Baiocchi, farmi una tazza di latte in balcone e tornare in camera proprio mentre parte What Happened?, e ciò significa qualcosa, oltre il fatto che mangio schifezze a qualsiasi ora. Vedendo questo disco come un testamento e un ultimo tenero addio, lo apprezzerei tantissimo di più, forse mi piacerebbe perfino (potere degli estremi saluti, che volete farci), ma ho il sospetto che non sarà così. Una quindicina di minuti validi frammisti a buona metà disco di lirica afona e rarefazione irritante per chi proprio non può farne a meno: poco e niente più. Sotto forma di ep contenente “Eos”, “Like Music”, “Shadows of the Sun” e “Solitude” sarebbe stato una grande uscita.