Esoteric – Subconscious Dissolution into the Continuum

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A guardar bene tra le uscite passate sotto un silenzio non meritato si trovano sempre piccole perle e di questa bisogna davvero parlarne un po’. Gli Esoteric sono una di quelle realtà poco conosciute perchè poco attivi, poco pubblicizzati e poco alla moda. E leggermente asfissianti ai primi ascolti, invero. Eppure, in queste tre lunghe e sulfuree tracce c’è tanta di quella carne al fuoco da stupire per la coesione ed elegante completezza del risultato finale. La base è innegabilmente un doom pachidermico e profondo, mai scontato o prevedibile nelle soluzioni, stoico nel mantenere strenuamente il suo voto alla lentezza e all’ossessività disturbante; siamo dalle parti di formazioni estremiste quali Thergothon e Skepticism, tanto per dire. Il vero valore aggiunto di questa sofferta opera – la cui gestazione ha impegnato più di due anni – sono gli arrangiamenti curatissimi e la maestria nel costruire strati su strati di tastiere, sample elettronici e orchestrazioni sovrapposte, intrecciate, capaci di rendere ancora più omogeneo il continuo rimescolarsi delle chitarre e della sezione ritmica, in un flusso musicale al primo impatto spiazzante e stordente. Apice del disco è probabilmente la più condensata “The Blood of the Eyes”, con una prima metà tutta giocata su spirali di melodie ricorsive in crescendo continuo, cangiante palcoscenico dedicato al sofferto scream di Greg Chandler, protagonista di una prestazione vocale spaventosamente emozionale e versatile. Nulla da dire neanche a “Morphia”, perfetta nella sua compattezza stilistica o alla più oscura e dilatata “Grey Day”: si sente da subito che gli Esoteric in questi suoni ci sguazzano da anni e le loro centellinate uscite svelano da subito una passione e una cura ammirevole. Non è proprio un disco da allegro weekend al mare, bisogna dirlo, ma di sicuro c’è più coerenza e coesione qui dentro che nei numerosi impiastri post-metal pronti a millantare radici doom che ultimamente spuntano fuori come funghi. Un po’ di sano revisionismo ci vuole sempre.