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Ataraxia è ciò che in Italia resta sconosciuto e silenzioso, significa uno dei più grandi – per qualità della proposta e non per quantità dei musicanti, ovvio – ensemble/collettivi dediti ad una sfaccettata e cangiante attività di commistione tra folk e folk nell’accezione più (mal)sana che possiate immaginare, dedicandosi a rielaborazioni che sono in realtà elaborazioni ex novo ispirate da genius loci, frammenti letterari, scorci di passati più o meno remoti, vagabondaggi in terre europee e mediterranee, caratterizzate da un’assoluta dedizione e cura riguardo l’intero processo poetico-compositivo. E quando una siffatta realtà entra in contatto con una oscura compagnia teatrale che risponde al nome di CircuZ KumP per la realizzazione misterica e forse volutamente avvolta in un sudario di segreti e misticismo di un’opera roboante, abbagliante e terrorifica, in bilico tra sfacciataggine da cabaret e sferzate baudelairiane, improvvise chiusure di sipario e intermezzi acustici, esplosioni di urla e lamenti estatici, erotici, un francese sanguigno e pervaso dalla sistematica volontà – connaturata agli Ataraxia in tutta la loro ventennale carriera – di sviscerare ogni singolo suono di ogni idioma che si trova a passargli sotto mano (o sotto la glottide, pardonne moi) tramite l’esasperazione, l’esagerazione e l’esaltazione fino a giungere al nucleo rivelatorio ed esoterico di ogni frammento sonoro, sillaba, fono, singulto, non si può non rimanere estasiati e sconcertati, dissolti in e distolti da ogni elemento estraneo a questo fluire di non ho ancora capito cosa. Una carriera destinata alla dimostrazione che l’Italia non conosce nemmeno la minima parte delle sue ricchezze. Un’opera che merita infinitamente di più di quanto mai otterrà.