Eels: A night with Mark Oliver Everett

“Life is funny, but no ah ah funny. Peculiar, I guess” è solito cantare Mr. E in 3 speed. Dal vivo gli Eels si rivelano sempre “peculiar” ma anche dannatamente “ah ah funny”. E spiazzanti. In un Conservatorio milanese pieno pieno, ecco partire in apertura di serata una cosa che sarà argomento di discussione per i giorni a venire: un documentario totalmente in inglese senza sottotitoli firmato BBC intitolato Parallel worlds, parallel lives (con il Nostro Uomo della serata protagonista) in cui si indaga vita, morte e teorie del celebre fisico Huge Everett III, padre di Mark Oliver, di Elizabeth (on the bathroom floor, ricordate?) e di un’importante teoria sui mondi paralleli. Un documentario interessante ma da seguire concentrati, cosa probabilmente difficile da chiedere al pubblico italiano che mostra ingoranza in fisica quantistica e teorie di Niels Bohr (ma questa può passare) e soprattutto nella padronanza dell’idioma inglese. Sta di fatto che dopo mezz’ora qualcuno decide che invece che uscire a fumarsi una sigaretta senza rompere i coglioni agli altri (come qualsiasi persona dotata di un minimo di buon senso e intelligenza avrebbe fatto) sia meglio iniziare a rumoreggiare, a fischiare, a dire basta. Il brusio aumenta (ma si sa, la madre degli idioti è sempre incinta) fino a scatenarsi in un applauso alla fine del documentario (che a mio avviso risulta assai interessante e di ottima fattura).
Penso a E e a come potrebbe reagire, non è stata una mossa furba da parte del pubblico. Proprio no. E lui, che ne ha passate ben di peggiori, reagisce nel modo migliore. Esce, canta due pezzi poi saluta il pubblico con tutta la sua enorme dose di ironia:
E: Grazie (in italiano). È l’unica parola che so in italiano, perché parlo inglese (risatine dal pubblico). Anche le due canzoni precedenti erano in inglese (risatine in crescendo) e anche il resto del concerto, mi spiace. (risatine a iosa). Però se volete possiamo parlare di fisica quantistica!
Pubblico: Nooooooooooooooooooooo (condito da fischi e risate e battimani).
E: Preferite la musica?
Pubblico: Yeeeeeaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaah (in un boato misto a risate e battimani).
E: Beccati questo, papà.
E da lì è stato un ininterrotto flusso di emozioni e di risate e di musica. Accompagnato dal fido polistrumentista “The Chet” Atkins III (batteria, chitarre, pedal steel, glockenspiel, voce, cori, humor, sega di metallo + arco di violoncello), il concerto è stata una bellissima alterzanza di emozioni “da lacrimuccia” (l’accoppiata Elizabeth on the Bathroom Floor / Climbing to the moon per esempio) e grandi risate (la lettura delle esageratissime lettere, vere o false che siano, dei fans. La lettura delle recensioni, vere o false che siano, dei concerti delle sere prima. La lettura da parte di Chet di alcuni estratti dall’autobiografia di E, ‘Things the granchildren should know’). E momenti estremamente ah ah funny che hanno unito in modo perfetto le due cose: una lunghissima Flyswatter soprattutto, durante la cui esecuzione i due formidabili musicisti/attori/teatranti si sono scambiati più volte di posto (piano e batteria) senza perdere un battito di tamburi. Applausi a scena aperta.
E si può discutere sulle canzoni che non sono state fatte (Mr. E’s beautiful blues, Your lucky day in hell, Fresh feeling oppure 3 speed) in una scaletta comunque molto bella. Si può anche discutere dell’arrangiamento molto distorto (e poco convincente) di Novocaine for the soul oppure sul fatto che in tanti si aspettavano E in pigiama per concludere la serata come per il precedente tour. Si può discutere di tante cose ma non è la serata giusta, perché l’intensità di un evento del genere non può che lasciare soddisfatti e la chiusura con P.s. You rock my world ha lasciato tutti senza fiato. Mr. E è una persona e un musicista adorabile e anche in questa occasione lo ha confermato.
Un grazie a Monterey per la scaletta del concerto.
Le foto sono di Viridian

autore: Francesco Sciarrone

Junior E Vs Senior E
Roma @ Sala Sinopoli, 08-03-2008

Il concerto degli Eels dell’8 marzo è stato un evento davvero curioso che, triste dirlo, si è concluso lasciando un amaro in bocca difficile da perdere: del resto un bis non si nega mai a nessuno, e per chi li aveva visti dal vivo per la prima volta – me – è antipatico avere il ricordo di un live chiuso così… Ma andiamo con ordine.

8 Marzo, Roma, Sala Sinopoli, un posto che ti fa ringraziare il costo del biglietto. Sì, sarò controcorrente ma vuoi mettere un live sentito come Cristo comanda? Con un audio perfetto, dove il piano suona come un piano e non come un honky tonky scassato, dove la chitarra risuona con tutta la sua cassa, e l’equalizzazione ti permettere di distinguere distintamente il rumore del plettro che atterra sulla corda dalla corda stessa che vibra nell’aria.
E poi finalmente un live senza la gente che, diciamolo, scassa il cazzo cantando sull’artista… W l’auditorium!

Sala colma, un grande tendone bianco copre il palco, rimanendo teso e sospeso in aria dividendo nettamente lo stage dal pubblico. Semplice sipario artistico? No, è un telo da proiezione. Anzi un telo da proiezione “di salvataggio” viste le vistose cuciture verticali che disturberanno non poco la visione. Prima del concerto c’è, infatti, un aperitivo. Una sorta di “road movie” come vengono chiamati ora. Un piccolo documentario – mica tanto piccolo, 60 minuti- con protagonista Mark Everett e suo padre: Hugh Everett, sconosciuto genio della fisica quantistica, autore di un saggio sugli universi paralleli, uno che se fosse stato uno scrittore sarebbe stato un fenomeno in stile Verne e invece… Il filmato vede Mister E. ripercorrere la storia del padre, intervistando vecchi amici, colleghi e professori che hanno condiviso con Hugh la scoperta e il perfezionamento di queste teorie quantistiche e degli studi sulle infinite “possibilità delle possibilità”. Praticamente una noia mortale. In 60 minuti E ce la mette tutta per convincerci che suo padre era un fico, ma alla fine siamo tutti convinti che l’unica cosa buona fatta da Hugh Everett è stata Mark Everett, e i fischi in sala verso la fine del film sembravano sottolineare che i presenti erano lì per l’Everett Junior, e del Senior se ne sbattevano.

Finisce il documentario, qualche minuto di attesa e finalmente il telone bianco cala, lasciandoci vedere il set: un pianoforte, una batteria minimale e 2 ampli: gli Eels questa sera sono nudi e crudi, forse il concerto sarà difficile, ma di sicuro più interessante. Senza tanti convenevoli sale sul palco E, bruno e cupo come sempre, e non lasciando tempo ad applausi o saluti imbraccia una danelectro e nel silenzio della sala la sua voce profonda e un afona inizia il racconto di storie malinconiche e pessimistiche, attingendo a piene mani dal periodo “beautiful freak” e “electro shock blues”.
C’è poco spazio per le melodie allegre, per quei piccoli quadretti lo-fi che, per colpa di un mercato discografico che punta sulla hit solare, sono conosciuti da tutti. Niente Beautiful Blues, quindi, ma tanta “Infinite Sadness”. Con l’entrata del fido Chet, da tutti riconosciuto come la seconda metà degli Eels, rientrato “nei ranghi” dopo l’abbandono al periodo di Shotenanny, il set decolla: ci guadagna in groove, grazie alla batteria secca e essenziale, e anche nel sound visto che i pochi soli e riff vengono tutti affidati alla chitarra di quest’ultimo.
Il live ha ogni tanto brevi pause affidate a piccoli monologhi in stile Monty Pithon: E con un’entità superiore (Dio? Il padre? Ci interessa davvero sapere chi fosse?), E alle prese con le lettere dei suoi fan o le recensioni sui suoi dischi, Chet che legge il diario di E… Piccoli interventi parlati e chiacchierati che da un lato allentano la corda su un concerto appassionante ma ostico (tutte le canzoni si risolvono in 3 minuti, la scelta di chitarre vintage non permette grande varietà di suoni), dall’altro ci mostra un E piuttosto disinteressato da tutto, o meglio fintamente interessato a tutto. Secondo voi uno come il signor Everett a davvero a cuore cosa la gente pensa di lui? Cosa i giornali scrivono dei suoi lavori? Cosa possano significare per noi le pagine del suo diario? Io non credo e questi intermezzi puzzano di riempitivo…
Come spettatore passivo, nella sua tuta da metalmeccanico, dietro i giganteschi occhiali a goccia, Everett canta la sua musica in maniera disinteressata e terapeutica. Da un lato sembra che gli argomenti difficili di alcuni brani (Il suicidio della sorella, la morte della madre) lo aiutino a lenire il dolore, dall’altro sembra non curarsi assolutamente della platea, alla quale concede ogni tanto il minimo di “spettacolo” che un concerto rock nel senso classico del termine deve avere: ruvidità in stile j. spencer su Souljacker Pt. 1, dolce sofferenza su my beloved monster, e un fantastico scambio delle parti tra E e Chet su Flyswatter, di grandissimo impatto visivo ma non naturale, come studiato a tavolino.
Poco male, perché il magnetismo che E riesce a sprigionare e il fascino di una figura così schiva e riservata ha un non so che di ipnotico sul pubblico, che ascolta il concerto senza intervenire, come intimorito, chiuso in un silenzio che si interrompe solo per gli applausi a fine pezzo. Tutti sono concentrati a gustarsi ogni minima goccia di questo live, senza parlare neanche quando Chet o E sembrano aver voglia di scambiare due chiacchiere (“siete qui per la musica, isn’t it?”…. silenzio in sala… “ok, allora potremmo tornare a parlare di fisica quantistica!”).

Vuoi forse la mancata complicità del pubblico, un po’ troppo freddo o timoroso dell’artista, o forse i troppi flash, che già da metà set incominciavano a stancare il pubblico, e figuriamoci l’artista, a fine live succede il brutto fatto: Mark saluta frettolosamente, come chi sa che deve tornare in scena di lì a poco, ma dopo 5 minuti di applausi a luci basse, mentre gli ampli sono ancora accesi … flash! Si accendono di colpo tutte le luci della sala Sinopoli e parte la musica di sottofondo: niente bis per questa sera.

Ammetto che dopo 70 minuti di set mi ritengo ugualmente soddisfatto, ma se le luci si fossero accese subito non avrei alimentato la speranza di sentire altri pezzi. Peccato, perché mi ero quasi convinto di un ritorno del duo sul palco e invece, a quanto sembra, l’imprevedibilità di E ha preso il sopravvento, e il concerto è finito lasciando un amaro che, a due giorni di distanza, ancora non sono riuscito a togliere.

Le foto non si riferiscono al concerto recensito
Eels – Souljacker (pt.2)