Radiohead: In rainbows

Bat for Lashes è la pecora dolly di Bjork, anche nel fisico e nel look, ma credo sia inglese di origini pakistane. Apre il concerto dei Radiohead mentre la gente pensa a riempirsi di vodka al melone. Comunque le strutture fanno pensare a volte ai Sigur Ros, nelle parti più intime o epiche e nei crescendo reiterati, e un po’ alla 4AD. I musicisti della graziosa signorina suonano di tutto, arpe, seghe, oboi. Usano un trombone come cassa armonica per il violino, flauti traversi come flauti diritti ecc ecc. Il tutto è bello ma anche un po’ noioso. E poi basta. Il palco ha dei bellissimi neon verticali che piovono dall’alto, così come apparirebbero le quinte di un teatro dell'opera in un film di fantascienza di serie-b, mentre – guardandoti intorno – nella luce verdognola di un tramonto milanese – scopri che l’Arena Civica è un sorta di stadio di atletica vecchio di due secoli, un misto tra le olimpiadi prefasciste e l’arena di Verona, e sta proprio in mezzo a Parco Sempione: estate, Milano, pieno centro. Molto punk. Vicino a noi, nel marasma del parterre, a pochi metri dal palco, degli inglesi di Manchester ubriachissimi si sturano un’altra birra. La ragazza sbraita come fosse un’inglese ubriaca. Little Britain. Appena il sole tramonta attaccano i Radiohead. Che cosa ci sia in questo concerto che sia andato storto proprio non lo so, ma se è vero che il concerto è l’unico modo efficace per tastare il polso di una band, devo ammettere che cinque anni fa il polso di Thom Yorke e soci mi sembrò più forte e regolare. Ignoro totalmente cosa i cinque abbiano combinato nella serata di apertura della tappa milanese. Perché come tutti gli altri stasera ho avuto la fortuna e la previdenza di accaparrarmi il costoso biglietto non appena messo in commercio, per poi scoprire che l’organizzazione ne avrebbe stampati altri per una seconda data aggiunta – sìssignore – ma il giorno prima. Una simpatia non da poco.
Come che sia, stasera l’idea dev’essere stata quella di sperimentare e triturare la scaletta. Una scaletta che solo un computer potrebbe generare randomicamente. Non ci trovo una chiave: Reckoner come incipit, ok sono gusti, segue 15 Step con i suo ritmi ballabili, poi virano verso Kid A ed è National Anthem, a cui segue una All I Need suonata su pianoforte a coda da Thom più Ed O’ Brien al glockenspiel. Iniziano un po’ in smoking, e un po’ no. Questo concerto ha una giacca nera senza cravatta, bermuda da mare ed una maglietta dei The Knife. Ed io che ricordavo esplodere un pogo selvaggio (sì davvero, chi c’era lo sa) dopo le prime note di 2+2=5 a Piazzale Michelangelo nel 2003 non mi trovo: avevo detto agli amici che era così, che sarebbe stato così. Niente da fare. Nude è bella, suonata così fa riemergere alcuni effetti che sul disco erano stati sepolti sotto gli infiniti strati del mix. Però l’adorabile (e da me adorato) leader del gruppo non sembra in formissima, sarà che ho piantato nello sterno da qualche decina di minuti lo zaino carico di lattine di birra-discount di quello davanti. Fanno Airbag? Maddai, è proprio Airbag, ma cavolo, perché non riesce a bucare quella coltre di nebbiolina fredda che aleggia davanti al palco? Me la ricordavo più intensa, ma forse è colpa mia. Che non ho più sentimenti? Le telecamere montate sui microfoni proiettano dietro al palco le facce impegnate dei cinque in diretta, before you comatose, come nel video di Jigsaw. La macchina non è ancora partita e già si arriva a The Gloaming, con le sue luci accese, le sue riflessioni acide, le sue sirene. Sì ok, però questa scaletta riflessiva e stravagante mi appare anche un po’ autolesionista, come a voler mantener le distanze, come a non voler suscitare amore, come una scopata fredda. E Thom se la balla pure la coda elettronica di questa The Gloaming, ma il tutto non trascina. Inizia a serpeggiare un dubbio: manca il volume. Qualcuno se ne accorge, e lo grida pure, indispettito. Su Mucchio leggo che c’era pure Brad Pitt dietro al mixer, e ‘sti cazzi vorremmo dirgli, in coro. Perché, se è per questo, c’era pure quel coglione col ciuffo rockabilly che fa il fighetto-indie-cretino su All Music tutti i pomeriggi. C’era pure un casino di gente a cui i Radiohead proprio non vanno giù, c’era un sacco di gente a cui non gliene fregava un beneamato cacchio del concerto, c’era gente che era lì solo perché ormai i Radiohead fanno engagée. E io mi sento di troppo ormai, vengo guardato male anche se manifesto solo qualcosa di più di un composto entusiasmo, ma andatevene. Dai, dai adesso succede qualcosa, adesso fanno il botto. Parte invece Faust Arp, bellissima suonata in duo acustico da Thom e Johnny, ma non aiuta. Aiuta invece il palco blu e la magia di una How To Disappear Completely in stato di grazia, dritta dritta dai meandri più psichedelici di Kid A. Forse ci sono dentro, forse ho trovato un porta di ingresso, parte Jigsaw, ed io entro, e finalmente si muore. Urlo tutto il testo come un punk ubriaco nell’orecchio di quello davanti. Ci siamo. Wolf At The Door spacca i cuori come deve. Spero in una impennata che vada verso l’infinito, come ricordavo. Videotape è una piacevole pausa, poi Eeverything In Its Right Place che dà un limone da succhiare a tutti. Idioteque un po’ più pacifica e imbrigliata, e una Bodysnatchers piuttosto energica: quasi soddisfatto. Si succedono altre perle da Hail to the Thief e In Rainbows, da segnalare la b-side Bangers & Mash – come già avevamo visto nel live case in studio, Thom Yorke suona un mini-kit di batteria mentre canta, tipo rullante e cassa, duettando con il magnifico drumming di Phil Selway. Altra cosa da segnalare in chiusura è una The Tourist che farà brillare gli occhi a qualche vero fan. Due attesi encore, due attese ovazioni, inchini, rispetti, fiori lanciati sul placo ai piedi di Ed O’ Brien (sulla sua pedaliera in realtà). Il tutto finisce scontatamente con Paranoid Android (così anche il tipo di All Music se ne andrà a casa felice). Per me si tratta solo di un concerto potenzialmente stupendo, in parte rovinato da un’acustica dalle scelte quantomeno infelici e dalla mancanza di un volume adeguato. Un po’ di amaro in bocca. Un’occasione mancata, di cui in Italia, come si sa, in questo periodo, non avevamo bisogno.

Le foto presenti sono di Dubbo