Alessandro Baronciani (Altro): Voler sapere dove si fermano i treni

  • Rocklab: Alessandro Baronciani, Pesaro e Milano: ti va di parlarci delle tue evoluzioni artistiche, dei tuoi sviluppi di vita in merito a queste due città?
    In che misura Milano ha modificato e influenzato il tuo modo di esprimerti in ambito artistico?
  • Alessandro: Più di parlare di Pesaro dovrei parlare di Urbino. La mia formazione sono state la città e l’istituto d’arte “Scuola Del Libro”. Poi sono finito a Milano. Entrambe le città mi hanno influenzato. Urbino è il posto ideale dove poter crescere. È un parcheggio incastrato tra le colline. Non hai fretta di scappare via. Ti lascia il tempo per formarti, per capire cosa vuoi fare e soprattutto per disegnare. Disegnare non è difficile, ma richiede tempo, soprattuttto quando cerchi di capire cosa stai facendo. Come dice Napo (voce Uochi Tochi, lapis niger) disegnare è una cosa divertente che vuoi fare, se ti trovi a disegnare per lavoro non è più divertente come quando lo fai per necessità.
  • R: Personalmente ho una discreta riserva verso al milanesità, non verso Milano in sè nè verso chi la abita, e credo in un certo modo l’insieme di questo tipo di immaginario sia ben esplicato e rappresentato nelle illustrazioni di ‘Milano For Zombies’ firmate Andrea Girolami.. hai avuto modo di dargli un’occhiata? pensieri/suggestioni/sentimenti a riguardo?
  • A: Milano è la città in cui sono arrivato dieci anni fa, finite le superiori – due anni fa sono andato per la prima volta a Londra. Se dieci anni fa invece di arrivare a Milano sarei finito a Londra forse sarei rimasto lassù. Bisogna scegliere una città in base a quello che vuoi realizzare o risolvere, altrimenti diventa una meta turistica. Nel senso che devi spostarti dalla propria casa, dalla propria città se hai in mente qualcosa che non puoi realizzare altrimenti. Prima il progetto e poi il luogo dove realizzarlo. Vale per tutto anche se vuoi fare il parrucchiere. Milano non puoi dire di averla vista o conosciuta se non l’hai mai girata in bicicletta, altrimenti come fai a vedere i cortili dentro i palazzi?
    Riguardo alla milanesità non so cosa dirti, probabilmente si sbaglia a pensare la milanesità con i milanesi che sono pochi e nascosti bene.
  • R: Ho prenotato una copia di ‘Fumetto/letto’ a Jukka… sto ancora aspettando di entrarne in possesso, ma dal video di presentazione che hai messo online me ne sono innamorato all’istante. Cosa puoi raccontarci della sua genesi?
  • A: Sul blog ho cominciato a disegnare una storia a fumetti, poi ho chiesto ai visitatori di scrivermi come poteva continuare il racconto. Mi fermavo sempre dopo due o tre inquadrature. Leggevo i commenti e quello più interessante lo disegnavo. La storia sembrava chiudersi su se stessa. Era divertente, sembrava un cerchio. Due mesi dopo Michele Serimal mi chiese di fare qualcosa di più complesso insieme, dopo aver prodotto la maglietta che alla mostra della street-art era andata bene. Così ci venne in testa di fare un fumetto fatto di stoffa. L’idea era di presentarlo alla galleria di Giacomo Spazio a settembre assieme alle stampe che aveva prodotto ‘Angelino’ di Studiocromie, invece poi ci abbiamo messo troppo tempo. Solo cucirlo è stato difficile e lungo. Ancora oggi le federe dei cuscini non sono finite.
  • R: La pluralità della tua espressione creativa è praticamente da sempre viva nelle tue produzioni: apparentemente differenti gli approcci, delicato e morbido quello legato alla grafica, aggressivo e “espressionista” quello alla musica, si rivelano poi a parer mio molto legati tra loro, credo infatti che ci siano almeno due anelli di congiunzione, quello emotivo legato alla malinconia onnipresente e quello minimalistico legato alla forma nell’esecuzione. Spesso l’artisticità ed i suoi strumenti servono sia da valvola di sfogo espressiva, sia divengono vere e proprie esigenze vitali, che comunque tendono a preservare i lati più intimi di noi stessi. Fai finta di fare autoanalisi: quanto c’è di te, delle tue sfumature introspettive in quello che fai?
  • A: Uau!
  • R: Altro punto sul quale tenevo chiederti qualcosa è quello relativo all’uso della parola: i testi delle canzoni degli Altro, così come i racconti da te illustrati, sono sempre in bilico tra detto/non detto, reale/onirico: quali sono gli impulsi che ti portano a scrivere?
  • A: Quando scrivo i testi delle canzoni ci sono sempre Gianni e Matteo che guardano quello che ho scritto. Quando canti ci sono parole meglio di altre che possono servire a rappresentare quello che stai pensando. L’italiano, meglio di altre lingue – ma forse soltanto perchè è la nostra lingua – permette di dire le cose in molti modi. Anche troppi. Pensa soltanto alla burocrazia o alle modifiche dei testi legge: una parola in più può cambiare l’intera interpretazione.
    Le parole escono dalla bocca e poi svaniscono. Nei fumetti invece sono sospese in aria. È giusto invece che non rimangano da nessuna parte. Questo inverno ho fatto un incontro per presentare dei libri per ragazzi con dei bambini della seconda elementare; una bambina mi ha fatto un disegno dove tre bambini dicevano contemporaneamente con un baloon unico: “presto andiamo al mare!” Così ho chiesto a tre bambini di urlare la stessa cosa contemporaneamente. Dopo aver gridato la frase ho chiesto a tutti gli altri se avevano visto in aria il baloon con la frase e loro sono rimasti con la bocca aperta a guardare il cielo. Questi meccanismi che lavorano sulle convenzioni ti permettono di guardare molte volte a bocca aperta il cielo.
  • R: Quando scrivi sai già se quello che stai facendo andrà a finire in musica o servirà da narrazione per un racconto?
  • A: Sembra strano e dissociato ma la parte musicale è abbastanza e sostanzialmente divisa da quella del disegno. Non penso ci sia dietro un progetto. Quando suono negli Altro non penso di disegnare, ne quando disegno penso a suonare o a far diventare un racconto una canzone. Quando suoniamo siamo in tre, magari fossi in tre anche quando disegno, mi divertirei di più e probabilmente riuscirei a fare più cose.
  • R: Artisti e scrittori contemporanei che apprezzi?
  • A: Damien Hirst, Tuono Pettinato, Jessica Abel, Davide Toffolo, I fratelli Hernandez, Adrian Tomine, Ebine Yamagi. Ultimo libro letto: ‘Ancora dalla parte delle bambine’, della Lipperini.
  • R: Insegni sempre all’istituto d’arte di Rovereto?
  • A: Ho fatto l’insegnante di disegno animato per un anno a Rovereto quando avevo 22 anni e i miei studenti circa 18. Ero già stato per un anno a Milano ed ero scappato. Si, perchè un conto è dire con il senno di poi che tutto sommato è stata una esperienza da fare, ma all’inizio io e i miei amici abbiamo avuto un impatto durissimo contro il mondo del lavoro. Dopo nemmeno un anno siamo scappati in ogni luogo. Chi era tornato a Bologna a studiare, chi a fare il servizio civile, chi come me era riuscito a trovare una supplenza annuale di disegno. Tre giorni alla settimana, avanti e indietro sul treno che non finiva mai. Avete mai preso un treno senza portare con voi un orologio e senza sapere quando sarà la vostra fermata? Dormivo in un ostello della gioventù e ho conosciuto un sacco di persone da tutta Italia. Un anno bello anche se parte di un periodo molto silenzioso: o parlavo tantissimo – quando ero a scuola – o stavo in silenzio per molto tempo. Forse perchè ancora non esistevano i cellulari. Era il periodo della fidanzata e delle cabine con le schede telefoniche. Dei treni regionali e delle pause in sala d’aspetto tra un treno e l’altro.
  • R: Sinestesia: l’effetto che mi fanno le tue illustrazioni è molto simile a quello che mi fa ascoltare ‘Psychocandy’ dei Jesus and Mary Chain. Non so spiegarmelo, ma mi viene istintivo stabilire un ponte tra le tue creazioni e “psychocandy”, sarà forse l’umore bittersweet, la dolcezza sporcata dal rumore nel disco, o dalla intangibilità nel tuo lavoro? O sono solo svarioni miei?
  • A: Un po’ di tempo fa ho avuto una conversazione con Giancarlo Turra, che oggi collabora a Sentire Ascoltare, sulla musica shoegaze. Lui indicava tutti i gruppi 4AD dreampop come shoegaze e non considerava per niente i Jesus and Mary Chain. Secondo me è l’esatto contrario, ho sempre pensato che lo shoegaze fosse qualcosa di molto più vicino al caos e alla dolcezza. È forse il momento più alto della musica pop suonata con le chitarre. Mi ricordo un concerto dei Fangoso Lagoons a Pesaro tanti anni fa. La cassetta l’avevo comprata dal chitarrista, Toto Ondedei, ora nei Camillas. La cassetta era pulitina e precisina, il concerto invece devastante, rumore sordo e acuto dappertutto. Un altro esempio l’anno scorso al festival del Pop-Gruppo a Gradara, suonavano gli Amusement Parks On Fire; dentro il teatro piccolo e stipato di gente hanno cominciato a suonare con dei suoni stranamente fuori dalla norma, nel senso che se stavi dentro non avevi la percezione che il suono fosse un enorme caos da allertare la protezione civile. Te ne stavi tranquillo ad ascoltare il concerto contento di sapere che poi ti saresti portato a casa le orecchie fischianti come ricordo del concerto.