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La gratuità nello sciorinare due accordi e un quattro quarti a due tamburi e la freschezza con la quale Dean Spunt e Randy Randall fanno musica, sono quelle cose per le quali vale sempre la pena tentare di districarsi dalla furiosa giungla di internet e riuscire a scovare band di notevole spessore. Quando li conobbi e ne recensii lo scorso ‘Weirdo Rippers’ ci andai letteralmente fuori di testa. E le dinamiche della loro scoperta furono telematiche. La cosa figherrima è che i No Age hanno fatto uscire ‘Nouns’ e che questo disco se non supera il primo, siamo lì. Bordate di ignorante noisy punk legato a melodie azzeccatissime, paccate di distorsioni che non ti fanno tirar su il capo fino a che queste ti guidino verso amniotiche e lisergiche parti tutte drones e feedbacks. La cosa che mi sorprende ulteriormente è che i No Age sembra stiano prendendo una posizione agli antipodi di quella che era la loro situazione nativa e “primordiale” di duo fancazzo/hype/paraculo. Stanno diventando una realtà meno effimera di quanto si potesse pensare, e sicuramente più “quadrata” per quanto questo termine sia possibile accostato ai loro. Questo elemento è secondo me molto importante e da tenere in assoluta considerazione nella chiave di lettura del gruppo. Non voglio dire che i No Age siano meno genuini, anzi. Credo che la loro integrità stia proprio nel fatto che siano riusciti a costruire una macchina da guerra come piaceva a loro, potente, cangiante, catchy ed intelligente e successivamente voltata verso il pubblico senza contare fino a dieci. ‘Nouns’ tra i miei dieci dischi duemilaotto sicuramente.