Dresda – Pequod

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Allora viene da dire: post-rock. E poi i Mogwai, Red Sparowes, e tutti a annuire interessati e a dirsi in silenzio: figata, ma proprio non mi scende di ascoltarlo. E invece no, perché di Mogwai qualcosina c’è a livello di arrangiamenti, di Red Sparowes si notano le sfumature e qualche apertura più corale, ma qui il riferimento sono i primi Grails, quelli di ‘Red Light’, quelli che giocavano con il silenzio e il suono secco di chitarra, basso e batteria, vicini in questo a quei Tortoise che qui ritroviamo in egual misura. ‘Pequod’ procede a basso regime, spesso e volentieri colpendo alla pancia: poche esplosioni, nessuna sovrabbondanza, chitarre al minimo e interessanti intarsi di dub liquida alla “Millions Now Living Will Never Die” – azzeccatissimo il contrappunto strumentale al reading in La Stanza e l’Orologio, fors’anche troppo sommessa l’ultima Attraverso Lenti Colorate, che si ritorce su se stessa per un quarto d’ora senza mettere a fuoco le intuizioni che arricchiscono l’opener Città di Vetro e spaccando nettamente questo album in due – un primo quarto d’ora di suggestioni e di speranza in un post-rock intelligente, ben dosato e mirato, e un secondo quarto d’ora leggermente più sciapo e prevedibile, rischioso. Per due euro vi arriva la copertina a casa in formato cartolina, e il disco si scarica gratis: foss’anche molto bello a metà, un ascolto io lo darei.