Skuma – Non ho mai imparato il sudoku

Acquista: Data di Uscita: Etichetta: Sito: Voto:

Gli Skuma sono dei Masoko senza i masoko, hanno sarcasmo, autoironia e non si prendono troppo sul serio. Sono uno dei suoni della strada, e per questo possono piacere tanto ad un mod quanto ad un punk di San Lorenzo (o di qualsiasi altro quartiere studentesco italiano) e dal vivo sanno trascinare e far muovere i culi, cosa davvero non trascurabile in questo periodo, e lo fanno col piglio giusto, senza curarsi tanto della tecnica: fuck this, fuck that , perché “la minchia non vuole pensieri”, come recita un saggio proverbio siciliano. Le loro radici stilistiche affondano senza dubbio nella terra d’Albione, ma innestano stilosamente su queste un gusto per il recupero degli anni ottanta italiani, in un improbabile meeting tra i Beehive ed una vertigine pop di metallo non metallo (io ce la sento, come un po’ ce la sentivo nei romani Carpacho!), ad un festival del beat. La cover di Fotoromanza di Gianna Nannini è per questo un manifesto di intenti, e nei loro show diventa un inno che trascina come una locomotiva. Per di più il disco è ben prodotto e col giusto ceffo da Ufo Hi-Fi, piccola casa di produzione romana di marca punk, garage, beat, glam, e tutto quanto di stradaiolo ci volete mettere, che vanta una strumentazione vintage niente male ed una predilezione per un suono tagliente e chitarristico. Nel cd sono presenti brani di buon livello accanto a pezzi di maggior spicco (Lilla, Pop Korn, Teledown, Bukkake), che con le loro melodie vanno ben dritti alla testa. Il resto lo fanno i testi stralunati del Molla, arguto nel giocare su più piani coi registri e gli stili, ed anche gli idiomi, e che a volte imbrocca frasi piuttosto memorabili (“and if a doubledecker bus crashes into us/ morire insieme non sarebbe così bello, credimi” oppure “ogni cosa sublime ha una caduta di stile” e così via). In conclusione, gli Skuma si fanno rispettare per la scelta semplice ed azzeccata di definirsi “pop ’n roll” e di dedicarsi ad istigare certe platee, facendole divertire dopo una settimana di duro lavoro. Scelta furba, se volete, di minima, ma sono tempi duri, e la gente risponde. Quello che c’è è tutto qui, tutto proteso in avanti, ora e subito. E con la loro proposta riescono nella non facile impresa di suonare rock in Italia (e in Italiano) senza trincerarsi nella torre d’avorio, e purtuttavia senza per questo finire a fare cover dei Litfiba in un pub di coatti. Un tono mediano dotato di lucidità, compattezza e chiarezza di intenti. E che forse non è poco.