Uochi Toki – Cuore Amore Errore Disintegrazione

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Settembre 2010 www.latempesta.org myspace.com/uochitoki

Permettendomi artifici spontanei

E’ risaputo che Napo e Rico, il duo che si cela dietro il monicker Uochi Toki, non hanno mai aderito agli stilemi hip hop canonici ma anzi si sono costantemente prodigati nel portare avanti un progetto tematico/musicale votato alla destrutturazione, alla meta-digressione, alla detonazione, scomposizione e ricombinazione di frammenti semantici, con un sarcasmo, una lucidità allucinata e una consapevolezza autoreferenziale tali da lambire ambiti artistico/culturali molto eterogenei; qualcosa, per intenderci, che spazia dalla letteratura alla saggistica, passando per fascinazioni situazioniste.

Sebbene non sia una novità, dicevo, l’inconfondibile stile che i nostri eroi hanno plasmato nel corso degli anni, riuscendo sempre a sorprendere e destabilizzare l’ascoltatore, ciò che è stupefacente è il livello di compiutezza nebulosa a cui sono approdati con “cuore amore, errore, disintegrazione”. Perchè, sebbene possa sembrare un paradosso, o forse proprio in virtù di ciò, quest’ultimo lavoro, di gran lunga il più disgregato, tortuoso e schizofrenico tra i 7 sinora pubblicati, è anche quello che meglio rispecchia la poetica più profonda degli Uochi Toki: una visione della vita e delle interconnessioni che la caratterizzano improntata “all’imprendibile” e al caos indeterministico.

Pensate al titolo del disco: l’accostamento iconico e rassicurante “cuore-amore” suggerirebbe il più stra-abusato dei concept, se non fosse per quel “errore-disintegrazione” in grado di ridefinire uno sviluppo discorsivo molto più problematico, e meno monodimensionale, rispetto alle premesse. L’amore, romanticamente idealizzato nell’immaginario collettivo, è preda di banalizzazioni retoriche che appiattiscono l’indecifrabile complessità delle relazioni umane. Napo, paroliere e cantante della band, si cala nel ruolo di “mago” per disvelare con le sue arti quanto di contraddittorio, irrisolto, pregiudiziale e sfuggente vi è nel reciproco approcciarsi di due potenziali partner. Ma questo sforzo emotivo e conoscitivo, una volta giunto a saturazione, può cadere in fallo, esasperare le proprie insicurezze e titubanze piuttosto che alleviarle, conducendo ad una disintegrazione di sè che sfocia in una successiva ricomposizione.

Tecnicamente, la scansione degli eventi raccontati segue una dinamica lineare, essendo un susseguirsi cronologico di avvenimenti talvolta reali e talvolta immaginari (il confine è spesso labile), ma lo svolgimento di ognuno di essi è così denso e frattale da esplodere la realtà contingente e catapultarla in un “altrove” dalle mille accezioni. L’altrove è uno dei fili conduttori del disco: il viaggio comincia nell’universo onirico, quella zona d’ombra in cui il pensiero logico/razionale è bandito, mentre le identità sfumano e si confondono con gli archetipi inconsci. E’ qui, in un coacervo di immagini sconnesse e inintelligibili, che il mago Napo avvista per la prima volta il drago, la temibile incarnazione dell’Altrove supremo, quell’inesplicabile energia regressiva che tenta di imporsi sul nostro io per assoggettarlo alla propria “ombra”. La tappa successiva è il risveglio, che avviene, guardacaso, in un altro altrove, stavolta geografico. Napo, reduce da un concerto della sera prima, si ritrova in slovacchia, a lubiana: quasi un non luogo, una nicchia spazio-temporale indefinibile, se non ci fosse qualche efficace pennellata descrittiva a connotarla.

Mentre deambula tra le strade, crogiolandosi nei propri arzigoli fantastici, il nostro mago resta ammaliato da una ragazza e dal suo particolare abbigliamento. Immagina di interagire con lei, scandisce mentalmente le parole che le direbbe, ma alla fine il suo proposito rimane irrealizzato.

Il resto del tragitto si articola in una serie di interazioni con ragazze sempre diverse incontrate in circostanze più o meno casuali; ragazze amichevoli ed affettuose, svampite e vacue, frivole e inquiete,  indisposte e irascibili, ma sempre e comunque dotate di autonomia, motivazioni e pulsioni proprie, spesso in contrasto o in equivoco con quelle di Napo, le cui doti di mago nel sondare l’alterità radicale – l’altrove simboleggiato dal mondo femminile – verranno messe a dura prova e infine si riveleranno fallimentari.

Da questi pochi cenni avrete già capito, probabilmente, che cuore-amore ecc è quanto di più postmoderno sia mai stato concepito in ambito musicale. I testi torrenziali di Napo straripano e gorgogliano di ricorsività speculative, divagazioni e contro-divagazioni deraglianti, nel solco di un flusso di coscienza ingovernabile che assorbe e metabolizza le informazioni esterne attraverso il filtro di un’emotività lacerata. La musica non può che modellarsi anch’essa su un pastiche postmoderno e frammentario di elettronica minimalista, rumorismo, breakcore, ambient e, per la prima volta, strumenti suonati da collaboratori (rispettivamente Lucio Corenzi dei Luther Blisset al contrabbasso, Bruno Dorella di Ovo e Bachi da Pietra alla batteria, Alessio Bertucci dei Claus and Candy al Sitar). Le sonorità si plasmano sul contesto semantico di riferimento, che sia ambientale, psichico o emotivo, come se james joyce si cimentasse nell’hip hop dopo esser rimasto folgorato dall’ascolto di merzbow e aphex twin.