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Novembre 2010 | Temporary Residence | www.threemilepilot.com |
What’s In The Air
Diciamolo, per mettere subito in chiaro l’approccio da trentenne già nostalgico, di dischi belli come questo, intensi dall’inizio alla fine, non se ne fanno più. E allo stesso tempo il ritorno dei Three Mile Pilot traccia una via del tutto inedita. Per capire bisogna fare un veloce passo indietro. I Three Mile Pilot, band anni 90, divenuta poi quartetto, caratterizzata da un suono scarno e dolente ma soprattutto da una, allora, originale leggerezza plumbea, si separano esattemente a metà nelle persone di Zach Smith e Tom Zinser che fondano i Pinback con i quali approfondiranno e vireranno in agrodolce proprio quella leggerezza e di Pall Jenkins e Tobias Nathaniel che invece daranno anima e corpo ai Black Heart Procession, tetri e superbi cantori dell’oscurità.
Succede che le band, sviluppando propri percorsi artistici e arrivando ciascuna ad una propria riconoscibilità, si ritrovino nella stessa etichetta, la Temporary Residence. La reunion diventa scontata ed è appunto l’oggetto in questione. Meno scontato il risultato che riesce ad essere qualcosa di veramente oltre i vecchi Three Mile Pilot arricchito dai percorsi paralleli delle due band che avevano germinato e che ora trascende con una naturalezza da brividi. The Inevitable Past Is The Future Forgotten infatti riesce a muoversi su territori limacciosi e torbidi. Una festa di decadenza, un barbecue tra i relitti sotto un sole torrido, dove si balla dark wave stringendo il collo di una Southern Comfort con una mano e le briglie di un somaro con l’altra, e giureremo di aver visto Neil Young e Robert Smith che pisciano insieme giù nel Canyon. I deserti dell’anima e le correnti del pacifico, c’è tutta San Diego in questa riconciliazione. Un disco asciutto e romantico senza un ombra di melò su cui si arrischiavano invece le due band. Sembra una fusione perfetta e insperata, sicuramente la cosa migliore di Jenkins e Nathaniel dai tempi di Amore del Tropico (si ascolti l’uno-due The Threshold e One Falls Away, che sanno stare tra naso e gola) e forse meglio di qualsiasi cosa dei pur ottimi Pinback (il loro tocco è su tutti i ritornelli). Scaletta senza passi falsi, vanta incastri perfetti di aperture synthetiche e strofe ruspanti. Basterà ascoltare meraviglie come Still Alive, la danza buffa ed eroica di un dandy sul toro meccanico, o il rimpallo tra incalzo di piano, appoggio di tastiere vintage e chitarre roventi in Same Mistake, o la conclusiva The Premonition che ha le stigmati della grande canzone americana, quasi Brian Wilson.
A voler cercare il pelo nell’uovo si potrebbe prendere a caprio espiatorio la pur splendida Days Of Wrath, dove più esposta è la dinamica tra torpore indie e lacerazione wave. Ovvero forse, per avere il Capolavoro, si poteva forse accentuare appena di più, il gioco di contrasti, anziché limitarsi ad accennarlo. Il risultato non cambia però, melodie più soavi e ritmiche più rotonde, danno al cuore nero uno sgargiante scheletro rosso, che protegge le ceneri dal soffio del tempo e insieme risalta pulsazioni vibranti come non mai.