Radiohead: The King of Limbs unpacked

E’ arrivato The King Of Limbs nella sua veste “Newspaper”, recapitato anche nelle case dei fan italiani.

E’ tempo di scoprire il contenuto del “cofanetto”.

Ho usato le virgolette, perché più che di un cofanetto si tratta di una busta! Ebbene sì: aperto il pacco postale vi ritrovate davanti una busta di plastica biodegradabile (sappiamo quanto i Radiohead siano sensibili alla causa ambientale) sulla cui superficie è stato stampato con tutti i crismi l’artwork del disco che ben conosciamo. L’impressione iniziale è di un certo sconcerto, specie se paragoniamo la solidità del cofanetto di In Rainbows a questa veste “leggera” di The King Of Limbs. In ogni caso una cosa sicuramente originale.

Procedendo a indagare il contenuto del misterioso involucro troviamo:

• Un quotidiano in formato broadsheet (55 cm x 31, simile al formato del Guardian), realizzato ovviamente dall’immancabile Stanley Donwood, l’illustratore responsabile di tutti gli artwork che accompagnano i dischi dei Radiohead dai tempi di The Bends. In prima pagina campeggia a caratteri cubitali il titolo del disco, con una veste grafica che vuole richiamare, a detta di Donwood, la grafica dei giornali del periodo della grande depressione. La carta è volutamente sporcata e ingiallita, il lettering è volutamente retrò. In 18 pagine si snodano giganteschi (e bellissimi) artwork, stralci di testi e di altri deliri, presentati come enigmatici articoli. Sicuramente il pezzo forte della confezione: il contrasto tra la fragilità del giornale e la bellezza dell’oggetto è spiazzante.

• All’interno di una confezione cartonata, con nuovi artwork originali dell’ottimo Donwood, troviamo due buste scure, con impressi disegni di alberi in bianco e nero. Al loro interno prendono posto due vinili 10’’ trasparenti, di bellissima fattura, che contengono gli otto brani del disco: due brani per lato. Le congetture su possibili riempitivi per completare il minutaggio dei vinili si sono rivelate infondate. I dischi presentano un ampio margine vuoto nei solchi più interni.

• Il Cd, dotato di un packaging volutamente trascurato: una busta di carta riciclata che riporta stampata in monocromo una grafica piuttosto semplice e spartana. Donwood ha spiegato questa scelta dicendo di odiare a morte il formato Cd, e che se avesse potuto l’avrebbe realizzato ancora peggio.

• Infine un curioso foglio di carta assorbente, tagliato a “francobolli” con zigrinature, che ricorda tanto il formato dei “blotter” di acido lisergico. Ciascun “francobollo” riporta un piccolo artwork radioheaddiano. Il francobollo centrale riporta il celebre orso vampiro. Anche qui il senso è di qualcosa di retrò, ma anche di consumabile nel qui ed ora.

Ed è proprio in questa sua fragilità, in questa sua “consumabilità” qui ed ora il senso di tutto il packaging. E come vedremo fra poco, non solo di quello. Mentre In Rainbows era un cofanetto “talmente solido che con il giusto impegno ci potevi uccidere qualcuno” (parole di Donwood), questo packaging è stato di contrasto voluto “effimero” fragile e leggero. Laddove In Rainbows dava l’idea di un punto fermo, questo disco vestito da “quotidiano” deve dare l’idea di qualcosa di inconcluso, di incompiuto, qualcosa che come un newspaper non si esaurisce nell’oggetto in sé, perché “le notizie non si fermano quando esce il giornale”, come spiega Donwood.

L’oggetto newspaper (La Repubblica, Il Giornale, Il Fatto quotidiano, Il Foglio) rappresenta qualcosa di effimero, che va oltre il suo consumo immediato, rappresenta un’idea, uno stile di vita, una visione del mondo…

Ed è proprio questo il punto della questione. Possiamo ancora chiamarlo disco? I Radiohead sembra ci stiano dicendo di no. Nell’era della musica digitale e dei social network, del file-sharing e delle webzine, il disco come oggetto compiuto e come rituale sta cedendo il passo a qualcosa di diverso. Qualcosa di ancora indefinibile, ma che potrebbe dirsi un concetto, un modo di pensare, o meglio un concetto totale e onnicomprensivo di band. I Radiohead sono un giornale, sono un sito, sono un blog, e sono un disco che è uscito online all’improvviso senza anteprime, sfruttando esclusivamente l’hype dei siti web più pronti, e bruciando sul tempo la carta stampata. Un lavoro che ha messo tutti, democraticamente – operatori del settore, webzinari e ascoltatori – sullo stesso blocco di partenza, senza favoritismi. Se eri pronto potevi essere il primo a parlarne, a dare un’opinione, a cogliere la notizia.

Immaginiamo per assurdo un mondo dove anche i politici non concedano interviste solo alle testate più blasonate, ma anche, con le stesse possibilità, ai blogger di tutto il mondo, senza poter quindi esercitare alcun controllo sui contenuti: è un concetto quasi anarchico.

Ora riportiamolo sul piano dell’uscita di un disco importante come l’ultimo dei Radiohead, e pensiamo alla portata rivoluzionaria che una scelta del genere può avere per chi, come noi, si occupa di far andare avanti una webzine.
Noi, come tante altre webzine e blog, abbiamo voluto cogliere il messaggio implicito che la scelta distributiva dei Radiohead comportava e abbiamo voluto raccogliere la sfida. Abbiamo voluto prendere parte a questo grande gioco globale che è stata l’uscita di The King Of Limbs, con tutto quello che comportava.
E possiamo dire di ritenerci fortunati nell’aver assistito e partecipato a quello che forse verrà ricordato come uno dei momenti cardine di un nuovo modo di intendere la discografia e i rapporti con la stampa.

O forse magari The King Of Limbs resterà un curioso evento isolato nella storia. Ma quello che conta, e che mi preme rimarcare, è che trovo importante, e di grande ispirazione, che una band dei nostri giorni sfrutti la popolarità che ha conseguito negli anni per cambiare le regole, e per dimostrare una costante, forse anche amara e realistica, ma pur sempre ostinata e contraria, fiducia nel futuro. Qualunque cosa esso sia.