The Psychic Paramount – II

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Febbraio 2011 No Quarter thepsychicparamount.blogspot.com

N5

Mi ero quasi dimenticato di loro, ed ecco dopo sei anni dall’esordio Gamelan Into The Mink Supernatural del 2005, il prepotente ritorno dei Psychic Paramount. Allora presi con le pinze quel disco, perché i nomi in ballo sono quelli di diversi componenti dei Laddio Bolocko, band che era davvero molto “post”, nel senso di sperimentale ed eccitante, in tempi in cui il post-rock giornalisticamente inteso solleticava le fantasie di tanti. La creatura Psychic Paramount sembrò portare il discorso su lidi contemporaneamente più estremi, a livello di furia espressiva, ma anche rassicuranti, accarezzando spesso una voluta ambiguità tra prog e punk, da entrambi i lati stilizzati. Nonostante questo Gamelan Into The Monk Supernatural era un signor album, vibrante e spinto, istintivo senza i fumi dell’improvvisazione ma sufficientemente carnoso. Questo seguito, nonostante la lunga gestazione, già dal titolo, II, non poteva discostarsi molto e replica quel miracoloso incontro tra il math-rock dei Don Caballero e i momenti più psych dei Fugazi, in lunghe composizioni (che hanno come titoli misteriosi acronimi) rigorosamente strumentali, con una attitudine sparata al fulmicotone, rarissimi momenti di riflusso e numerose escalation soniche di natura principalmente ritmica.

L’Intro che spalanca le porte dell’album è significativa perché è una staffilata di chitarre che alzano una saracinesca sferragliante su percorsi labirintici che crollano al passaggio dietro le spalle. L’impatto è ben più che salvo: gli Psychic Paramount si presentano in gran forma con un album che schiaffeggia a palmo aperto. Si regge però di un equilibrismo non sempre centratissimo tra alambicchi ritmici e chitarrismi a tratti esasperanti, rivelando di non aver poi troppe frecce al proprio arco, e mettendo a nudo con gli ascolti, nascosta dalla coltre di polvere che alzano, una sorta di formula che forse stavolta mostra la corda. Rispetto al lavoro precedente sembra un disco più d’impatto, dritto per la sua strada, ma quindi anche più mirato, forse anche maggiormente a fuoco, ma questo in contrasto con l’imprevedibilità e l’imperscrutabilità che sembra voglia far leggere nelle proprie viscere. Non so perché, visto che né i Laddio BolockoGamelan mi avevano dato questa sensazione, ma più lo ascolto e più sento la mancanza di una voce, che puntelli con maggiore lirismo una musica votata al deragliamento psichico, o forse sarà che son cambiati i tempi o che sono invecchiato io.
Oppure sarà che mi mancano più i Fugazi di quanto mi manchino i Don Caballero.