Battles – Glass Drop

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7 giugno 2011 Warp Records bttls.com

Ice Cream

Evitiamo di parlare di King Crimson, Tortoise, Prog, Math rock ,post-past etc… etichette e band di riferimento. Sembra che per capire la musica non si possa semplicemente costruire una frase diretta, magari complessa, con qualche subordinata carina, che non abbia qualche parola da poter leggere subito, tra le righe, e così capire di cosa si parla.

Qui voglio farvi leggere. I Battles al turno del secondo LP sono come un maniaco del cut up cinematografico. Solo che invece di fondere pellicole diverse hanno preso le riprese in 8mm di un ascensore futuristico e rimontate insieme, sfumando solo nella gradazione dei neon, delle persone che ci sono passate. Poi presi dal dileggio ci hanno sovrapposto spezzoni di documentari sulle hawaii.

Dopo un album che li ha alzati alle urla dei critici, i nostri hanno ripreso le loro capacità di fondere complicate strutture ritmico-armoniche con nuove influenze che si rifanno senza troppi giochi di specchi, o teatrini, alla musica più Black, basti ascoltare l’iniziale Africastle che è un pezzo dub vampirizzato e riempito di un orchestra poliritmica, oppure Ice Cream, che ospita Matias Aguayo (di casa Kompakt) che mostra talvolta accenti di tropicalia o comunque una vena meno cerebrale e melodicamente vicina a quello che i Battles oserebbero forse definire groove. Sono sfumature difficili per una band che riconferma comunque i suoi stilemi classici in brani strumentali come Futura e al tempo stesso vuole trapassare la pelle strutturale del suo stile, trascendendo in fughe più easy come Dominican Fade o il trittico: Toddler, Rolls Bayce, White Electric, che mostrano forse un’incertezza non ben sfruttata, un’idea non del tutto appoggiata, ma presente.

Apprezzabili le altre collaborazioni per il disco: la presenza di Kazu Makino in Sweetie & Shag (che valorizza un pezzo abbastanza lineare) , Yamantaka Eye che si ritrova a specchiarsi nei quasi 8 minuti del pezzo nei nuovi orizzonti grooveadelici dei nostri.

Strano e forse non del tutto azzeccata la presenza della voce di Gary Numan in My Machines, pezzo tra i più tirati del disco, che stona con l’astrattezza vocale dell’idolo wave.

Nel complesso Glass Drop è un bambino con tanti dna dentro che vivono senza entrare in conflitto espiecitamente. E’ un simbolo del divenire della band nel senso più simbolico e come tale altalena ripetizione autocitazionistica e invettiva creativa.