Neil Young & The International Harvesters – A Treasure

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14 giugno 2011 Warner NeilYoung.com

Amber Jean

Ci sono due pesi massimi sul “piatto news” della bilancia canadese del rock: la prima è quella che più “pesa” ovvero che l’orso Neil Young tornerà sulle scene con gli amici originali dei Buffalo Springfield, ovvero Stephen Still, e Richie Furay, con il basso di Rick Rosas al posto del defunto Bruce Palmer e la batteria di Joe Vitale al posto di Dewey Martin. La seconda è quella dell’uscita del suo nuovo disco  “A Treasure” che più che una nuova avventura della saga Younghiana, è il disco nove della “Neil Young archives performance series”  e che contiene nel suo interno inediti live che furono il cavallo di battaglia di un glorioso tour americano sui crinali degli anni 84/85 insieme agli International Harvester, e che andarono a sedimentare la colonna sonora di quel bel disco che firmò – non senza mugugni sollevatisi da una talebana Nashville –  la storia country mondiale col nome di“Old Wayes”.

E qui non ci possono essere mezze parole, formule critiche o detrazioni cavillose alla ricerca del pelo nell’uovo, è il disco che fa sciogliere anima e corpo, il disco della malinconia odorante di fieno e watermelon, il vizio focoso della nostra gioventù scapigliata che questo rocker di razza – sempre quando meno te l’aspetti – rispolvera, strappa e sbatte in faccia prima che la naftalina del tempo ne smorzi anche il benché minimo accenno di combustione.

Non solo country, ma rock, blues, bluegrass, le belle ballatone dai grandi polmoni, gli immensi sterrati americani di provincia che si aprono e chiudono a mantice tra gli asfalti blu delle highway e le gasoline point sognanti che distribuiscono voglie di libertà assoluta; è questo il climax di questo gioiello che torna dal passato con tutto l’armamentario sonoro d’ordinanza, il fiddle, la slide, la steel guitar, l’Hammond con la Leslie e tutti i falò canonici della tradizione folk a stelle e strisce, le americanate che ci sono sempre piaciute; dopo avere stressato l’ascoltatore con la versione di un hit indimenticabile come “Flying on the ground is wrong” dei Buffalo stessi, arrivano cariche di baldanza folkney “Amber Jean”, “Bound for glory”, ”Let your finger do the walking”, “Grey riders”, corre il rock slidato “Are you ready for the country”, traccia da almanacco e jeans,  sporca di lussuria il bluesy slabbrato “Soul of a woman” e spasima sotto le stelle luccicanti di pathos “Nothing  is perfect”, il tutto messo al servizio di un ascolto che va in giuggiole tra timbri, melodie, riff e banjo, che non vuole perdersi nemmeno un capello di questo immenso artista che ha sempre tirato dritto tra tradizione e rock graffiante, con i suoi lati umani e artistici sempre vissuti all’ombra e alla luce di infinite soluzioni sonore.

Si dice sempre che trovare un amico è trovare un tesoro, ed effettivamente con A Treasure un tesoro è ritornato in vita, e orso Young non fa altro che colorarci il nostro onirico con le sue straordinarie poesie delegate al vento, e che  ogni volta che ci arrivano ci fanno sempre sentire lontano da casa, ma saturi di brividi.