Daje ar musicista!

L’Italia al tempo dei tagli alla cultura, non è decisamente un paese per chi suona musica.

Infatti, in questi ultimi giorni sui giornali sono apparse due notizie che ben poco hanno a che fare con la musica, ma che da un certo verso risultano preoccupanti per chi di musica vorrebbe viverci.

La prima notizia riguarda il pestaggio, fino alla morte cerebrale, di un giovane chitarrista romano ad opera di un branco di ultras e di affiliati alla Brigata Rione Monti, avvenuto per l’appunto nel succitato quartiere alla fine di un concerto in uno dei tanti locali che affollano il rione. La seconda invece tratta della notte da incubo vissuta dai Punkreas (storica band punk-rock ska e core milanese) in una camera d’albergo vicino a Torino dopo aver suonato al Free Music Festival. In seguito ad un diverbio scoppiato con un manipolo di ragazzi appartenenti all’arma dei Carabinieri, lì stanziati per sedare le proteste del movimento anti TAV, i cinque musicisti vengono ricacciati nella propria stanza d’albergo con l’ausilio di gas urticanti.

Neo-fascisti, pulotti, o ultras? Come che sia, sembra non sia cambiato nulla negli ultimi ottant’anni di storia italiana nei confronti della figura professionale del musicista: saremo pure il paese del bel canto, di Sanremo e di Enrico Caruso, ma quanto ci stanno sulle palle questi perdigiorno fricchettoni (o all’occorrenza bamboccioni, che a dir si voglia) che pensano solo a suonare e non vogliono lavorare? E il disgusto pare bipartisan.

La sensazione è quella che i musicisti continuino ad essere considerati come gli ultimi fra i precari, quelli che fanno gli scioperati, che fanno una scelta professionale suicida, quelli che seguono un sogno impossibile: insomma, quelli che fanno tutto tranne che un lavoro vero. E per di più fanno rumore, sono fastidiosi, non ti fanno dormire la notte, e allora giù botte contro questi indolenti caciaroni.

D’altronde gli enti che dovrebbero conferire dignità a questo tipo di figure professionali non fanno altro che complicare le cose: la Siae è in ritardo di anni sui pagamenti dei diritti e sta sprofondando fra i debiti, l’ Enpals aumenta i versamenti contributivi annui  e in compenso i gestori di piccoli e medi locali si rifiutano sia di versare i contributi, sia di fornire i moduli Siae per la riscossione dei diritti d’autore. Non è un caso che poi alla fine ci siano tantissimi aspiranti musicisti che decidano di rimanere ignoranti sulle materie che dovrebbero essere vitali per la loro sicurezza sociale e per il loro lavoro.

La logica inquietante è sempre quella che se suoni, lo fai più per un tuo piacere personale o per metterti in mostra. Non ce la si fa proprio a pensare che il procurare intrattenimento sia di per sé un lavoro. Basterebbe spostare tutto questo ragionamento bacato sul mondo del calcio e forse anche i succitati ultras capirebbero come questa logica non sia solo sbagliata, ma deleteria.

In questo momento non mi è possibile poter vedere una luce in fondo al tunnel: il quadro sul mercato del lavoro di chi compone e suona musica è sconfortante, in compenso i tagli dei fondi pubblici diminuiscono le possibilità a disposizione del pubblico di confrontarsi con tutto quello che riguarda gli spettacoli ed i loro operatori (fosse nell’ambito di festival, manifestazioni, concorsi). È in fin dei conti la cultura che ci manca, e che non ci viene fornita da nessuno, men che meno dallo Stato: è giusto dire che continuiamo ad essere ignoranti.