Acquista: | Data di Uscita: | Etichetta: | Sito: | Voto: |
4 ottobre 2010 | PIAS | www.agnesobel.com |
Experimental jet set
Come potrete notare questa recensione è diversa dalle altre, è una recensione “sperimentale”… stiamo valutando se utilizzare uno schema “a settori” per rendere più chiare e fruibili le recensioni del nostro Rocklab.it. Abbiamo deciso di sottoporre questa novità al vostro giudizio prima di decidere se applicarla o meno. Fateci sapere cosa ne pensate, se preferite il metodo classico o questo. Insomma, diteci la vostra, mandateci una mail, oppure commentate!
Philharmonics
Info
Agnes Obel è una cantautrice danese trentenne residente a Berlino che se avesse avuto solo un filo di grazia in meno (e meno talento musicale) avrebbe suonato i giocattolini come Coco & Rosie. E invece no. Uscita quasi dal nulla, al suo album d’esordio, battezzato con austerità “Philharmonics”, firma per la PIAS e con la sua voce timida e lieve spacca le classifiche di mezza europa (non in Italia), il suo disco viene saccheggiato dai pubblicitari stranieri di ogni tipo: lo spot tedesco della Telecom e quello francese della Nivea sono suoi. Insomma un successo commerciale straniero che in Italia è rimasto fenomeno di nicchia.
Opinione del recensore
al primo ascolto le note di piano sporcate di quella vena oscura e inquietante tanto cara a Kate Bush e Tori Amos suscitano il temuto effetto déjà vu. Ma quando tira fuori la voce capisci che a differenza delle due signore di cui sopra la dolce Agnes fa della debolezza e della fragilità il suo punto di forza e ti trascina in un mondo elegiaco, di un’elegia nel senso più femminile del termine: legata alla terra biologicamente, al dolore, alla vita e alla morte, legata alle piante, ai cicli lunari, e al folk come culto delle radici, del proprio albero familiare. Gli strumenti sono pochissimi, chitarra pizzicata, linee di piano appena accennate. Non si pensi per nulla a qualcosa di stucchevolmente zuccheroso. C’è una sottile inquietudine a rendere il tutto terribilmente autentico e terribile, come la vita. Se posso azzardare un paragone, in molti passaggi mi ha ricordato le produzioni più ispirate di Micah P. Hinson, o certe dolcezze di Sufjan Stevens: si ascolti un brano come Just So oppure Brother Sparrow per farsi un’idea.
Dovrebbe incoronare il tutto una cover del sig. John Cale: Close Watch, che sembra funzionare più come una citazione colta (e paracula) che non come una versione che aggiunga qualcosa di più al già detto: sul piano dell’interpretazione mette in mostra tutti i limiti della pur brava danesina… finirà comunque su un film della Coppola.
Potrebbe piacere a
questo Philharmonics è un disco autentico, vibrante di ispirazione, di linearità e di rigore, forte delle linee melodiche della Obel, che riescono a flirtare con la tradizione folk nordeuropea senza superare il limite delle composizioni o sforare nello standard. Forte delle orchestrazioni pianissime e lievi. E poi lei ha la giusta esile, fragile corporatura, e il viso angelico ma risoluto che ti aspetteresti. Potrebbe rischiare fortemente di piacere a chi ama il folk, ma anche la world music, o l’ambient (e tutto quanto veniva definito new-age in un tempo molto lontano). Ma potrebbe anche piacere ad un metallaro in vena di tenerezze: questa trasversalità spiega il successo di pubblico di un disco che apparentemente non sembrerebbe destinato a fare sfracelli.
Potrebbe non piacere a
è pur vero che questo timbro lieve e fragile, effetto maglione di lana e cottage norvegese, queste scelte di produzione pianistiche minimali (piano più archi, piano più chitarre pizzicate, piano più percussioni sottili) e questo feeling generale da stanza dei giochi di una bimba malinconica e cresciuta inquieta tra un film francese ed un muffin alla ciliegia l’abbiamo sentiti ultimamente un po’ troppo spesso. Questo disco stancherà sicuramente chi è alla ricerca di un’indagine artistica più avanzata. Deluderà chi spera di trovare nel disco della Obel qualcosa di più, e invece si dovrà accontentare di briciole di una ricerca musicale e artistica ancora da fare (e che forse la Obel non ha alcuna intenzione di fare) da spizzicare in un mare di clichè e déjà vu.
Giudizio Finale
un bel disco, che mette d’accordo tutti, non fa casino, non sporca, non disturba. Se fosse un film sarebbe Somewhere della Coppola. Da ascoltare anche se non amate il genere, potreste trovarci qualcosa che smuove la vostra anima, e qualche ombra che farà felici anche certi eyeliner. E non sottovalutate che vi potrete anche bullare di annoverare nel vostro iPod questa piccola gemma che all’estero amano tanto. Ovviamente scherzo, date a questo Philharmonics quel che merita: un ascolto attento. E poi oggi che è uscita l’edizione Deluxe dello stesso potrete anche farvi un giro tra outtake, versioni live e altre chicche strumentali della signorina, che volete di più?