Robots in Disguise – Happiness v Sadness

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Luglio 2011 President Records robotsindisguise.co.uk

Sink in the Dirt

Negli ultimi anni, la scena elettronica ha visto molte più donzelle calcare il palco, rispetto alla scena prettamente rock: basti pensare ad artiste come Peaches, le Chicks on Speed o M.I.A, ad una primissima versione di Lady Gaga, o magari navigando verso sonorità più synth pop che electro abbiamo scoperto artiste come La Roux o le Chew Lips.

Sospese invece fra il synth pop, l’electro e l’indie rock troviamo il duo delle Robots in Disguise (…e no, non sono dei Transformers…) che in realtà non sono un duo: assieme a Dee Plume e Sue Denim troviamo live anche un terzo elemento (sempre femminile) alla batteria.

In realtà, non sembra nemmeno siano un complesso electro nel senso stretto del termine (quello che prevede synth e microfoni e nient’altro sul palco): Dee suona la chitarra, Sue suona il basso, poi naturalmente, ci sono anche le tastiere.

In realtà, quello che ci viene presentato come una band electroclash, è una formazione decisamente molto più aderente agli stilemi dell’indie rock che a quelli dell’elettronica: sinceramente mi ricordano per certi versi i Ting Tings, per altri i Gossip. Per altri versi ancora, come nella title track, mi ricordano certi momenti bui della happy disco. Dovessi riassumerle in un concetto di poche parole, queste Robots in Disguise sono le Pipettes in salsa dance. Melodicamente (basta ascoltare il brano Hey Watcha Say) non sono poi così dissimili da quel pop spensierato e disimpegnato che si lascia ascoltare distrattamente.

Non c’è dubbio che siano una band fatta appositamente per ballare e mi sorprende la longevità della band rispetto alla proposta musicale (questo Happiness V Sadness è il loro QUARTO album), oltre alla capacità di proporre una musica che definirei spiccia: 3-4 idee chiare, pochi fronzoli, melodie facili, un pò di tunz tunz che non guasta mai.

Non c’è un vero momento di energica esplosione purtroppo in questo lavoro, ed i cantati sghembi quasi sempre a doppia voce non riescono a caricare la performance vocale di nessuna espressione, ma il fatto di essere così asettiche nell’interpretazione alla fine su un lavoro del genere non guasta, ma aggiunge quello strano effetto che tiene viva l’attenzione dell’ascoltatore.