Lamb – Auditorium (Roma) – 29/11/2011

Attitudine e Visual: Tornati a Roma dopo il MIT (Meet In Town) di quest’estate, hanno svecchiato e fatto tremare l’austera Sala Sinopoli dell’Auditrium PdM.
Un palco enorme, solitamente pieno di sedie per orchestrali, ha lasciato (molto) spazio ai Lamb, duo britannico simbolo della fusione più riuscita fra trip hop e drum & bass.
Puntuali alle 21 (all’Auditorium si sa, nessuno sgarra) calano le luci e nel buio più totale irrompono fasci di un blu glaciale che illuminano il pubblico. Il primo a metter piede sul palco è Andy Barlow, produttore e polistrumentista, ma la scena viene rubata pochi attimi dopo da Lou Rhodes, voce e chitarra, accolta da fragorosi applausi. Eterea, avvolta in un abito bianco che la esalta come non mai: schiena nuda, capelli lunghi morbidi su una spalla, pare di osservare nel dettaglio un quadro del Caravaggio. E se lei indossa uno stivaletto nero alla moda, ecco che il terzo musicista presente (colui che li accompagna live suonando una sorta di viola senza cassa) se ne sta scalzo tutta la serata.

Audio: Alcuni gruppi li ascolti in cd e ti piacciono. Li vai poi a sentire dal vivo e magari ti fai troppe aspettative, resti deluso, che non è poi proprio la stessa cosa quando uno si cimenta su un palco…e chi lo sa, a volte capita. Ma no, non stasera. La ragazza ha voce. I suoi non sono gorgheggi elementari da scuola di canto, parliamo di qualcosa di diverso, qualcosa che fa la differenza. Il suono è dolce, delicato, eppure arriva a toccare le note più impensate con una facilità disarmante. Aggiungiamo i testi dei loro brani e chiudendo gli occhi facciamoci anche entusiasmare dal ritmo: è qualcosa di gradevole, nel senso più alto e puro del termine stesso.

Setlist: Con ben 8 album alle spalle, il live è stato aperto dai singoli storici, accolti con calore e generosi applausi. Brani qualiGabriel (che una volta sentito questo, già si poteva tornare a casa contenti d’esserci stati),Heaven e Gorecki hanno riscaldato i fedelissimi presenti in sala, che poi hanno cantato ancora Lullaby, Softly e Sun. Il tutto è stato sapientemente dosatio e mescolato ai brani dell’ultimo lavoro, quello della reunion, intitolato 5 e giunto appunto dopo una pausa di 5 anni. Spesso quando si torna a suonare assieme dopo aver intrapreso progetti solisti si corre un rischio enorme. Può tornare l’impronta dei vecchi successi, magari ormai fuori tendenza visto il passare del tempo. O si parte con un lavoro diverso, stravolgendo l’essenza del gruppo. Loro no, hanno saputo portare ancora ai vertici quei suoni nati in una Manchester di ben 15 anni fa, facendo amare sin dalle prime note brani quali She walks e Last night in the sky., cantanti entrambi all’unisono con i ragazzi sottopalco.

Momento Migliore: Da un concerto all’Auditorium ci si aspetta fondamentalmente solo una cosa: serietà. La parola stessa, a-u-d-i-t-o-r-i-u-m, riempie la bocca, termina con una sillaba che chiude le labbra allungando i suoni. Sarà che di norma lì prevale la musica classica e ogni tanto ci si infila il jazz a smuovere la scena. Sarà che prevalentemente lì ci gira gente over 65 (con rispetto parlando) impomatata e strizzata in abiti eleganti, con donne che si accompagnano al bastone ma che non rinunciano al tacco a spillo alto più di 5 cm. Vedere l’ordinarietà di una sala durante il primo brano, e sentire che il tutto è poi messo in gioco e stravolto dagli artisti stessi, è qualcosa che lì, davvero, non ci si aspetta. Dopo il primo brano, fra sorrisi e sguardi generosi dedicati ai presenti in sala, Lou ha rotto gli schemi. “Sono abituata a vedere la gente sottopalco, voi siete tutti seduti e composti ad ascoltare. Forza, venite avanti e cantate”. Da quel momento, nulla è più stato come prima. Poltrone vuote, tutti in piedi sottopalco.

Locura: Nulla degno di nota, se non forse gli sguardi un po’ spaesati che alcuni presenti hanno rivolto ad altri. Ergo: era un po’ una cosa tipo giaccaecravatta Vs. capellorasta. E ovviamente, il rasta batte tutti.

Pubblico: L’ambiente è di quelli volutamente raffinati, nei quali tutti gli addetti ai lavori vestono in tailleur o giacca e cravatta. Di conseguenza, anche gli ospiti normalmente si alternano dal vesto-molto-chic al di-moda-e-tendenza-ma-solo-per-chi-c’ha-li-sordi. Quello che amo in serate come questa è lo stravolgimento degli schemi, la rottura delle abitudini, l’apertura a tutto quello che in genere viene classificato (e di conseguenza, giudicato e sminuito). Sì, c’era gente con i rasta questa sera alla Sala Sinopoli. E no, non erano musicisti jazz di provenienza cubana. A volte non so se a questi concerti, quelli vestiti col jeans stretto e il foulard al collo già a trent’anni ci capitano perché conoscono e amano il genere, o semplicemente perché hanno l’abbonamento all’intera stagione musicale. By the way, come si è capito il pubblico era eterogeneo. Ed è stato perfetto così.

Conclusione: Nonostante le prevendite chiuse già alle 18, la data non è stata sold out. Complice forse il costo del biglietto, ma se si pensa all’Auditorium, è andata bene a chi ha investito 30 € per assistere allo spettacolo. Andy è passato dalla tastiera alla batteria, carico ed energico. Lou ha mantenuto una sobrietà che ha conquistato i presenti. E’ un duo che funziona quello dei Lamb, e forse la pausa di cinque anni (con i relativi percorsi da solisti) ha fatto loro solo del bene. E’ un piacere goderseli ad un concerto, e resta viva la speranza di sentire ancora nuovi lavori da parte loro. Magari non fra 5 anni però, ecco.