Lo Stroncatoio
Un nuovo modo per selezionare la tanta (troppa) roba che esce, per distinguere tra birra e borra: lo stroncatoio, i dischi che fanno schiuma ma non sono sapone.
Superheavy – Superheavy
Settembre 2011 – Universal – Orodiscopo: Dispari – Pezzo: Rock Me Gently
Massimo Sannella – Ci mancava anche questo Superheavy, per essere in luogo di chiacchiere e inutilità esponenziale; se doveva essere una mossa foriera di stupori, apice di una nuova avventura sonora destinata ad impressionare, si avverte che il flop fa più rumore e melodia delle note trascinate dal Rastafarianesimo con i tic del rock che bighellona qui dentro. Zio Mick Jagger, la nipotina finta vergine del soul Joss Stone, il Mozart di Madras A.H. Rahman, il vedovo degli Eurythmics Dave Stewart e lo scavezzacollo figlio di Marley, Damien – che sembra aver acquisito tutte le negligenze vocali delloShaggy del Bombastic – si uniscono facendo squadra mostrando muscoli Superforti come a dire che l’unione fa la forza (questo è quello che vogliono far credere). Al di fuori di una latitanza mafiosa d’originalità, vabbè che oggigiorno trattasi di mal comune, non si riesce a capire se si tratti di senilità “bandarola” o un modo tutto Jaggeriano di sfoggiare talenti incompresi con la cambiale rassicurante della sua ombra nobile oramai istituzione vigente del rockerama; fatto sta che questi bicipiti s’inflaccidano in un infelice “riempiticcio” studiato a tavolino di dancehall, elettronica, ragga, Bollywood, soul col singhiozzo e tutto il rock in levare, un minutaggio di sintomi schizofrenici privi di capo e coda che non fanno altro che smosciare mostruosamente la cifra stilistica e artistica di questo collettivo che – se presi in solitaria – hanno tanto di predefinito, relegati invece in questo incosciente progetto batti-cassa vanno a braccetto verso la previsione di un rabberciato muro d’intenti destinato a sbriciolarsi assai presto.
Disco nullo come una previsione del Divino Otelma; qualche volta diffidate dalle idee ridicole di Zio Jagger, ha pur sempre una certa età, e ricordate che chi fa da sé fa per tre! SVR: 1-1-1 – totale: 3
David Lynch, Crazy Clown time
Novembre 2011 – Play It Again Sam – Orodiscopo: Sinapsi – Pezzo: Pinky’s Dream
Silvio Battaglia – La vera domanda è: perché? Perché David Lync ha sentito la necessità di questo disco? E soprattutto, perché dovremmo sentirla noi? Il mago del delirio onirico e delle sovrapposizioni simboliche, il violatore dei nostri schermi sforna questo disco di una inconsistenza disarmante, e molta critica gli regge il gioco. C’è chi sostiene che quest’album resterà. Ma perché dovrebbero restare i loop zoppi di una sorta di David Thomas liofilizzato? Perché il suo gracidio filtrato, su basi per nulla incisive, dovrebbe smuoverci? Forse per le liriche da incubo metropolitano, o perché le chitarre suonate da un Ray Cooder con problemi di digestione che ha rubato gli strumenti a Kevin Shields?
E’ certo uno sberleffo all’hype che si fa da sé, perché dopo aver collaborato con Badalamenti Lynch sa che questo disco è semplicemente impresentabile. Non salviamo che Pinky’s Dream, un blues epilettico su cui Karen O intaglia con professionalità la sua parte, dando corpo ai tre livelli di un sogno invadente: sensualità morbosa, terrore, melodia rassicurante. Meglio tornare al cinema e aspettare. SVR: 1-1-1 – totale: 3