Lo Stroncatoio
Un nuovo modo per selezionare la tanta (troppa) roba che esce, per distinguere tra birra e borra: lo stroncatoio, i dischi che fanno schiuma ma non sono sapone.
Stubborn Heart – Stubborn Heart
Novembre 2012 – One Little Indian Records – Orodiscopo: Occhichiusi, Avatar – Pezzo: Need Someone
Emanuele Russo – Stubborn Heart (ovvero Luca Santucci e Ben Fitzgerald) sono un duo londinese soul-step recentemente ingaggiato dalla One Little Indian e paragonato, più che mai impropriamente, a XX e James Blake. I due hanno scelto un genere e ne hanno proposto, con sorprendente meticolosità, ogni singolo clichet . Un disco, questo, che trascende il concetto di derivatività sconfinando in quello di “imitazione dozzinale”. L’accostamento con Blake si potrebbe dire inesistente se non per la vocalità soul di Luca Santucci che, ad essere onesti, ricorda molto di più quella di Antony Hegarty. Degli XX troviamo qualche traccia nei pezzi più pop (vedi il singolo Need Someone) e nei testi dalle tematiche romanticheggianti. Accostamenti più credibili potrebbero essere fatti con i lavori solisti di Jamie XX per la presenza ingombrante, nella maggior parte delle traccie, di basi post-dubstep o con Sbtrkt quando il ritmo accelera (come in Starting Block). Il problema principale però non è solamente quella sensazione di “già sentito”, pervadente già dalle prime note dell’album, ma la totale disarmonia di ogni singola traccia, elementi che sembrano stare insieme forzatamente senza un vero filo conduttore. Purtroppo agli Stubborn Heart non sono bastate le ottime ambizioni e il risultato è un disco di cui proprio non si sentiva il bisogno. In quel calderone artistico chiamato Londra bisogna far attenzione a cosa si pesca. La One Little Indian questa volta sembra aver pescato male. “We can do so much better, better than this” canta Santucci in Better than this, ha pienamente ragione. SVR: 1-2-1 – Totale: 4
Jim Jones Revue – The Savage Heart
Ottobre 2012 – Play It Again Sam – Orodiscopo: Giacca, Barba – Pezzo: Never Let you Go
Alessandro Rossi – Partiamo subito con i desideri. Arrivati al terzo episodio da Jim Jones mi sarei aspettato un’altra bomba punk nella quale suonasse il piano con la faccia, sputasse pezzi di tasti masticati ad ogni ululato, e curasse le eventuali escoriazioni con del bourbon assunto direttamente da un idrante. Ovviamente qui non troviamo niente di tutto quello che successe nel primo bellissimo album. Oggi invece assistiamo all’epurazione della componente punk dalla musica del nostro in quantità tali da renderlo poco più di un iracondo turnista da piano bar. Certo, Little Richard e Jerry Lee Lewis son sempre sugli scudi, ma come ci ricorda fin da subito “Never Let You Go” – Un pezzo con un riff portante a cavallo tra “Fly” degli U2 e uno qualsiasi degli Stone Temple Pilots –, convivono in un paesaggio quantomeno bislacco. The Savage Heart finisce cosi per mischiare le carte – Forse a caso – proponendo noiose liturgie alcoliche – Chain Gang, In And Out Of Harm’s Way – da gustare immerse in un auto citazionismo da moviola – It’s Gotta Be About Me -. Ci sono 3:38 di noiosissimo botta e risposta tra Jim e un coro di camerati di stanza a Londra – 7 Times Around The Sun – e c’è persino la prova di quella volta che Jim tentò di fare il Nick Cave della situazione prendendosi due o tre scopettoni per pulire il cesso nei denti – Eagle Eye Ball -. Si salvano “Where Da Money Go?” nella quale si sente ancora il ruggito della bestia, e “Midnight Oceans & The Savage Heart” dove rivaleggia con i Righteous Brothers di “Unchained Melody” – Dal Film Ghost – nel tentativo di strappare al metadone qualche tossicodipendente, riuscendoci per tre minuti e cinquantacinque secondi. SVR: 1-2-1 – totale: 4